Arbitrato societario, controversie della Società con l’ex socio e con l’ex Amministratore

Arbitrato societario, controversie della Società con l’ex socio e con l’ex Amministratore

A cura di Francesco Autelitano

La Riforma Cartabia (d.lgs., 10 ottobre 2022, n. 149) ha introdotto nel Codice di procedura civile la disciplina dell’arbitrato societario, dedicandovi l’apposito, omonimo Capo VI-bis del Titolo VIII, Libro IV.
I nuovi artt. 838-bis e ss., cod. proc. civ. riprendono in gran parte le disposizioni già contenute nel d.lgs., 17 gennaio 2003, n. 5, offrendo ora una disciplina organica nell’alveo del Codice di rito.
La Riforma, tuttavia, non ha ritenuto di intervenire per chiarire o regolare esplicitamente una questione che si presenta frequentemente nella prassi, invero da tempo affrontata dalla giurisprudenza, concernente la possibilità di applicare la clausola compromissoria statutaria rispetto alle controversie della Società con l’ex socio e, rispettivamente, con l’ex Amministratore.
Nella presente sede, senza poterci addentrare nel complessivo argomento dell’arbitrato societario, svolgiamo, quindi, brevi note inerenti alla specifica questione sopra detta.
Occorre prendere le mosse dal nuovo art. 838-bis cod. proc. civ. (che ricalca il previgente art. 34, d.lgs. n. 5/2003 cit.), secondo cui gli Statuti possono prevedere, mediante clausole compromissorie, la devoluzione ad Arbitri delle controversie “insorgenti tra i soci ovvero tra i soci e la Società che abbiano ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale”. Il terzo comma dello stesso art. 838-bis prevede, inoltre, che la clausola compromissoria è vincolante anche per coloro la cui qualità di socio è oggetto della controversia. La norma consente di risolvere direttamente le ipotesi in cui sia in contestazione la qualità stessa di socio, che può essere affermata da una parte e negata dall’altra, ad esempio nei casi in cui sia impugnata la delibera di esclusione del socio o sia negata la validità del recesso del socio. Resta, dunque, aperta la questione relativa all’applicabilità della clausola compromissoria nelle fattispecie relative a pretese patrimoniali formulate dall’ex socio (o nei suoi confronti) le quali non mettono in discussione la perdita della qualità di socio (che quindi non è controversa) ma attengono a fatti verificatisi nel corso del precedente rapporto sociale e hanno ad oggetto domande relative al rapporto stesso, concernenti reciproci debiti e crediti, ovvero diritti relativi alla partecipazione ai risultati economici della Società o inerenti alla gestione della medesima.
In merito alla questione da ultimo descritta, la giurisprudenza ritiene che la clausola compromissoria contenuta nello Statuto di una Società, la quale preveda la devoluzione agli Arbitri delle controversie connesse al contratto sociale, comprenda anche la controversia riguardante soggetti che al momento del giudizio non rivestono più la posizione di socio, frattanto venuta meno (cfr. Cass., 11 giugno 2019, n. 15697; Cass., 30 aprile 2018, n. 10399; Cass., 27 settembre 2013, n. 22303; Cass., 10 ottobre 2011, n. 20741.
Si inserisce nel medesimo indirizzo citato il principio per cui “la clausola compromissoria contenuta nello Statuto di una Società, la quale preveda la devoluzione agli Arbitri delle controversie connesse al contratto sociale, comprende anche la controversia riguardante il recesso del socio” (Cass., 16 novembre 2021, n. 34505). Analoga soluzione è stata adottata, più in generale, anche per altri casi di cessazione del rapporto associativo (ad esempio, nel caso di Consorzio), laddove vi sia una clausola compromissoria statutaria in tal senso (cfr. Cass., sez. un., 6 luglio 2016, n. 13722; Cass., 2 marzo 2009, n. 5019).
E, ancora, di recente, la Suprema Corte è tornata a occuparsi del tema, chiarendo in termini significativi che “restano situazioni afferenti la vita sociale o associativa, ai fini dell’efficacia della clausola compromissoria statutaria, quelle così intese in senso ampio, con riguardo, quindi, non solo alle vicende di governo interno, ma anche alla persona del singolo socio, nei suoi rapporti, sia pure “non più” o “non ancora” in corso, con l’ente, con gli organi di questo o con gli altri soci” (Cass., 1° giugno 2022, n. 17823, in Foro it., 2022, I, 2742).
Tale recente ordinanza di legittimità ha il merito di focalizzare la ratio su cui si fonda l’orientamento interpretativo descritto, costituito dalla necessità di porre l’attenzione sulla causa petendi dell’azione: la Suprema Corte indica, così, un criterio processuale fermo al quale riferirsi nella determinazione della competenza a decidere la controversia, per il quale devono ritenersi incluse nella clausola compromissoria tutte le controversie che si fondino, appunto, su una causa petendi afferente a diritti derivanti dal rapporto sociale, indipendentemente dal fatto che quest’ultimo sia ancora in essere o sia nel frattempo venuto meno.
Concludendo, la clausola compromissoria, contenuta nello Statuto, la quale preveda la devoluzione ad Arbitri delle controversie connesse al contratto, si applica anche alle pretese avanzate dal socio con riguardo al rapporto intercorso con la Società, sebbene egli non prenda più parte della compagine associativa, in quanto tale pretesa continua a trovare causa nell’ambito del sodalizio d’impresa, nonostante l’avvenuto scioglimento limitatamente al singolo rapporto: ciò, appunto, ogni volta che la causa petendi della pretesa sia rappresentata dal rapporto sociale derivante dal contratto al quale accede la convenzione arbitrale.
In termini simili viene risolta la questione di competenza arbitrale in caso di controversia tra ex Amministratore e Società. La giurisprudenza, infatti, fa riferimento alla medesima ratio che sorregge l’orientamento concernente la questione del rapporto tra ex socio e Società, basandosi sulla causa petendi che nel caso concreto viene dedotta a supporto delle domande, in particolare affermando la competenza arbitrale laddove queste ultime trovino causa nello svolgimento del pregresso incarico di Amministratore (cfr. Trib. Milano, 7 maggio 2012, n. 5240). Costituisce quindi ius receptum il principio per cui le pretese riguardanti un diritto patrimoniale e disponibile, quale la richiesta del compenso e del risarcimento del danno per assenza di giusta causa di revoca dalla carica di Amministratore della Società, rientrano nella previsione della clausola arbitrale, in quanto si tratta di liti che vedono coinvolti la Società e gli (ex) Amministratori e che traggono origine dal rapporto associativo (cfr. tra le più recenti Trib. Trento, 14 novembre 2022, n.657; conf. Trib. Venezia, 3 settembre 2015, n. 2799). Diverso è il caso in cui sia la stessa clausola arbitrale a non contemplare, nel suo perimetro soggettivo, i rapporti tra Società e Organo Amministrativo (limitandosi a devolvere in arbitrato le cause tra Società e soci): qui è da escludersi, come logica conseguenza, che vi sia competenza degli Arbitri anche, a fortiori, nei rapporti con gli ex Amministratori (cfr. Cass., 10 novembre 2022, n. 33149, la quale ha affermato la competenza dell’Autorità Giudiziaria Ordinaria in una fattispecie avente ad oggetto l’azione di responsabilità promossa dalla Società verso l’ex Amministratore, in ragione del tenore della clausola arbitrale stipulata dalle parti nel caso concreto, che non contemplava le controversie tra Società e Organo Amministrativo).

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