
A cura di Andrea Beretta
La Corte d’appello di Firenze, confermando la decisione del Tribunale di Siena, respingeva le domande di una lavoratrice volte all’annullamento del licenziamento disciplinare intimatole, alla reintegrazione nel posto di lavoro e al risarcimento dei danni. Il Collegio fiorentino, nel merito, affermava la regolarità, nel senso di idoneità a fondare la presunzione legale di conoscenza, della comunicazione della lettera di licenziamento, avvenuta per compiuta giacenza. La Suprema Corte, adita dalla lavoratrice, rigettava l’impugnativa, ritenendo inammissibili e infondate le censure alla pronuncia d’appello.
Gli Ermellini premettevano che, a norma dell’art. 1335 c.c., gli atti unilaterali recettizi (quale è il licenziamento) si reputano conosciuti – presunzione legale di conoscenza, nel senso di conoscibilità equiparata a legale conoscenza – nel momento in cui giungono all’indirizzo del destinatario, se questi non prova di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di averne notizia.
Ciò premesso, i Giudici di legittimità davano atto che la Corte di merito si era attenuta a tali principi, ritenendo idonea a dimostrare il perfezionamento del pervenimento della comunicazione di licenziamento al domicilio della lavoratrice – pur in mancanza di produzione di copia dell’avviso immesso in cassetta – la produzione della ricevuta di invio della raccomandata contenente la lettera di licenziamento, accompagnata dalle schede informative, provenienti da Poste Italiane, dalle quali si desumono la mancata consegna della raccomandata, il suo deposito presso l’ufficio postale, la sua restituzione al mittente all’esito della compiuta giacenza. Detta documentazione era stata ritenuta, dalla Corte fiorentina, fondativa della presunzione di legale conoscenza, perché estratta dai dati informatici univoci, precisi e concordanti di Poste Italiane, soggetto al quale è affidato il servizio pubblico essenziale, rappresentato dal servizio postale universale, con attribuzione di funzioni di certificazione. A fronte di quanto sopra, continuava la Corte di Cassazione, non era stata, invece, dimostrata dalla lavoratrice, destinataria della comunicazione del licenziamento, la prova dell’impossibilità di averne notizia senza colpa, poiché detta comunicazione era stata spedita all’indirizzo comunicato al datore di lavoro (peraltro in vigenza di un preciso obbligo previsto dal CCNL di settore per i dipendenti, di comunicare con sollecitudine all’impresa ogni mutamento di residenza o domicilio).
Ad ulteriore conferma della correttezza della decisione di appello, si dava atto del principio desunto da taluni recenti orientamenti giurisprudenziali di legittimità, secondo cui è onere del mittente produrre l’avviso di ricevimento, nel caso in cui detto avviso sia disponibile e che, in difetto, non può ritenersi dimostrata l’operatività della presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c. solo in virtù della prova dell’invio della raccomandata, ma dovrà verificarsi l’esito dell’invio, valutando ogni altro mezzo di prova utile. Premesso ciò, la Corte di Cassazione affermava che alla suddetta valutazione dei mezzi istruttori utili a fondare complessivamente la presunzione legale di conoscenza, non limitati alla sola prova dell’invio della raccomandata, aveva proceduto la Corte di merito, dandone conto con motivazione logica e adeguata. Concludeva, pertanto, da un lato, ribadendo che la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c. degli atti recettizi in forma scritta, giunti all’indirizzo del destinatario, operi per il solo fatto oggettivo dell’arrivo dell’atto nel luogo indicato dalla norma, in mancanza di prova contraria; dall’altro, affermando che, nel caso di specie, la sola allegazione della ricorrente, di non aver mai rinvenuto l’avviso di giacenza nella sua cassetta postale, non fosse sufficiente a vincere detta presunzione.