A cura di Francesco Cristiano
La vicenda giudiziaria trae origine da un contratto di assicurazione stipulato dall’autotrasportatore Tizio, per il tramite del broker Alfa, con la compagnia di assicurazione Beta contro il rischio di furto della merce trasportata. Verificatosi un episodio di furto, il vettore assicurato aveva attivato la polizza stipulata, ma l’assicuratore rifiutava l’erogazione dell’indennizzo sostenendo l’inoperatività della polizza in relazione alla tipologia di merce trasportata (nel caso di specie: medicinali).
Ne nasceva una controversia giudiziaria, instaurata da Tizio, che conveniva in giudizio Alfa e Beta, chiedendone la condanna, in solido o in via alternativa, al pagamento dell’indennizzo e/o al risarcimento del danno. In particolare, l’attore deduceva che l’estensione della copertura al rischio di furto di medicinali doveva ritenersi operante per effetto di uno scambio di e-mail tra il broker Alfa ed un funzionario della compagnia di assicurazioni Beta. In primo grado il Tribunale di Milano accoglieva le domande verso Beta, mentre rigettava quelle verso Alfa. In sede di gravame, la Corte di Appello meneghina, in riforma della pronunzia di prime cure, rigettava le domande verso Beta, accogliendole verso Alfa, sulla base di una motivazione retta dai seguenti argomenti: (I) l’estensione della polizza non è frutto di un documento scritto, per così dire, “tradizionale”, cioè un’appendice contrattuale firmata dal contraente (o dal suo mandatario) e dalla società assicurativa, bensì di uno scambio di e-mail fra il broker Alfa ed un funzionario di Beta; (II) si era trattato di uno scambio di ordinarie e-mail e non già di scambio a mezzo di posta elettronica certificata; (III) la mail ordinaria ha il valore di una fotocopia (rectius: di una riproduzione meccanica) e fa piena prova ex art. 2712 c.c. solo se non contestata; (IV) nel caso del contratto di assicurazione, che richiede la forma scritta ad probationem (art. 1888 c.c.) lo scambio di mail non potrebbe ricoprire lo stesso valore di una scrittura privata, non dando certezza quanto al mittente della comunicazione e cioè al fatto che quest’ultima provenga dal titolare dell’account; (V) di conseguenza, non era ritenuto integrata la prova per iscritto dell’estensione assicurativa.
Tizio ricorreva per cassazione contro la sentenza di secondo grado, denunziando – tra gli altri – la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2712 c.c., anche in relazione agli artt. 2702 c.c. e 1888 c.c. Deduceva il ricorrente che un messaggio di posta elettronica “ordinaria” costituisce, ai sensi dell’art. 2712 c.c., un “documento informatico” che, se non disconosciuto, forma piena prova dei fatti in esso rappresentati e, poiché la provenienza della e-mail di estensione della copertura non era stata nella specie contestata, la Corte d’appello avrebbe dovuto ritenere soddisfatto il requisito della forma scritta.
La Corte di Cassazione ha esaminato il motivo di ricorso, evidenziando che i problemi giuridici da esso suscitati sono due e rispetto ad essi le valutazioni della Corte territoriali non sono risultate conformi a diritto: l’uno concerne le condizioni da soddisfare perché un atto possa ritenersi “scritto” per i fini probatori di cui all’art. 1888 c.c.; l’altro riguarda l’efficacia probatoria del messaggio di posta elettronica privo di firma elettronica qualificata o digitale.
La prima questione andava risolta muovendo dalla premessa che il messaggio di posta elettronica è un documento informatico, ai sensi tanto delle norme vigenti nel novembre 2009, all’epoca dei fatti (artt. 20 e 21 del D.Lgs. 82/05, novembre 2009) quanto di quelle attualmente in vigore (art. 20 comma 1-bis D.Lgs. 82/05, a seguito dell’intervento normativo di cui all’art. 21, comma 1, lettera b), del D.Lgs. 217/17).
Tali norme distinguevano e distinguono i documenti informatici sottoscritti con firma elettronica “semplice”, da quelli sottoscritti con firma elettronica “qualificata” o “digitale”. Per i primi la legge stabiliva e stabilisce che l’idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta è liberamente valutabile in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di sicurezza, integrità ed immodificabilità (secondo la norma vigente all’epoca dei fatti, anche “di qualità”).
In ragione di ciò, la Corte d’appello non avrebbe potuto limitarsi a negare tout court che un messaggio di posta elettronica con firma elettronica “semplice” potesse soddisfare il requisito della forma scritta.
Avrebbe dovuto, invece, previamente esaminare e vagliare le sue caratteristiche oggettive sopra menzionate, le quali avrebbero dovuto essere desunte dal corpus mechanicum a disposizione del giudicante e quindi – in particolare – dal formato del file in cui il messaggio di posta era stato salvato, dalle proprietà di esso, dalla sintassi adottata, dalla grafica.
La seconda questione richiedeva la disamina delle medesime regole – già sopra richiamate – stabilite dalla legge affinché un documento informatico possa essere utilizzato come prova in giudizio. All’epoca dei fatti – così come oggi – la legge dettava, infatti, un identico criterio di giudizio tanto per stabilire se un documento informatico fosse idoneo a soddisfare il requisito della forma scritta, tanto per stabilire se fosse una prova idonea: il criterio della “libera valutabilità” in base alle “caratteristiche oggettive” del documento.
In estrema sintesi, i principi desumibili dalle richiamate norme di legge – ed esposti dalla Suprema Corte nella sentenza in commento – possono così essere riassunti:
1) il messaggio di posta elettronica sottoscritto con firma “semplice” è un documento informatico ai sensi dell’art. 2712 c.c.;
2) se non ne sono contestati la provenienza od il contenuto, quel documento forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate (sul tema, cfr.: Cass. 24 luglio 2023, n. 22012; Cass. 27 ottobre 2021, n. 30186; Cass. 6 febbraio 2019, n. 3540; Cass. 14 maggio 2018, n. 11606)
3) se, invece, ne sono contestati la provenienza od il contenuto, il giudice non può espungere sic et simpliciter il documento dal novero delle prove utilizzabili, ma deve valutarlo in uno con tutti gli altri elementi disponibili e tenendo conto delle sue caratteristiche intrinseche di sicurezza, integrità, immodificabilità (all’epoca, anche: di qualità).
Nel caso di specie, pertanto, la Corte d’appello non avrebbe potuto scartare, dal materiale probatorio, l’e-mail inviata dal funzionario di Beta al broker Alfa., in base ai soli rilievi della pacifica carenza della firma elettronica qualificata o digitale o della mancata adozione dei modelli o stampati usualmente impiegati. Avrebbe certamente potuto giungere a tale risultato, nell’esercizio del suo potere-dovere di accertamento dei fatti, ma solo all’esito delle puntuali valutazioni prescritte dalla legge e, cioè, esaminando analiticamente le caratteristiche oggettive del documento informatico.