Licenziamento irrogato oltre il termine contrattualmente previsto: tutela reintegratoria o indennitaria?

Licenziamento irrogato oltre il termine contrattualmente previsto: tutela reintegratoria o indennitaria?

A cura di Tiziano Feriani

Nel caso di licenziamento illegittimo in quanto irrogato tardivamente, l’applicazione della tutela reintegratoria o, al contrario, di quella indennitaria dipende soltanto dall’entità del ritardo.
Lo ha affermato la Suprema Corte di Cassazione con sentenza n. 10802 del 21 aprile 2023.
Nel caso di specie, il datore di lavoro – nel licenziare un dipendente per giusta causa – aveva inviato la lettera di licenziamento due volte: la prima volta, in modo tempestivo, ovvero entro il termine stabilito dal CCNL di settore (30 giorni dalla scadenza del termine per la presentazione delle giustificazioni), ma ad un indirizzo errato e la seconda volta, invece, all’indirizzo esatto, ma tardivamente, allorché tale termine era già scaduto.
Nel giudizio di primo grado, il Tribunale – dopo aver evidenziato che la prima notifica della succitata lettera, malgrado la sua tempestività, non poteva essere presa in considerazione, poiché non era andata a buon fine per una ragione imputabile al datore – aveva affermato che la tardività del secondo invio comportava l’illegittimità del licenziamento irrogato al dipendente, con conseguente applicazione della tutela reintegratoria di cui all’art. 18, comma 4, della legge n. 300/1970, come modificato dalla legge n. 92/2012.
Detta pronuncia era stata integralmente confermata dalla Corte d’Appello, secondo cui la circostanza che il CCNL di settore prevedeva espressamente che all’invio tardivo della lettera di licenziamento conseguiva la definizione del procedimento disciplinare con l’archiviazione comportava, da un lato, la consumazione del potere disciplinare del datore di lavoro e, dall’altro, l’insussistenza del fatto contestato al dipendente.
Per contro, il Supremo Collegio non ha condiviso l’impostazione dei giudici di merito e, al riguardo, ha evidenziato che la previsione contrattuale in forza della quale il mancato rispetto del termine finale per l’irrogazione della sanzione determinava l’archiviazione del procedimento disciplinare imponeva unicamente la chiusura del medesimo ed impediva l’irrogazione di un valido recesso, ma non implicava, invece, in modo automatico e consequenziale, l’insussistenza degli addebiti mossi nei confronti del lavoratore, né tantomeno la positiva valutazione delle giustificazioni da lui rese, e neppure la consumazione per acquiescenza del potere disciplinare del datore, considerato che il ritardo poteva essere imputabile ad un mero errore, seppure colpevole, di quest’ultimo. Ciò premesso, la Corte di Cassazione – citando una propria precedente pronuncia resa dalle Sezioni Unite (cfr. Cass. n. 30985/2017) – ha rilevato che, con riferimento al principio di tempestività che connota il procedimento disciplinare, è necessario distinguere, a livello concettuale, tra la violazione delle regole che scandiscono le modalità di esecuzione dell’intero iter procedimentale nelle sue varie fasi e la violazione del principio generale di carattere sostanziale della tempestività della contestazione quando assume il carattere di ritardo notevole e non giustificato.
Infatti, nel primo caso viene in rilievo il semplice rispetto delle regole, pur essenziali, di natura procedimentale, mentre nel secondo entrano in gioco esigenze decisamente più importanti, come quelle di garantire al lavoratore una difesa effettiva, di tutelare il legittimo affidamento di quest’ultimo (tenendo conto che l’esercizio del potere disciplinare è, comunque, solo facoltativo e, in ogni caso, deve conformarsi al canone di buona fede) circa il carattere non illecito del fatto a lui contestato e di sottrarlo al rischio di un arbitrario differimento dell’inizio del procedimento disciplinare. Per tale ragione, la Suprema Corte ha affermato che, in linea di massima, l’omessa osservanza del termine per l’adozione del provvedimento conclusivo del procedimento disciplinare previsto dal CCNL integra una mera violazione della procedura di cui all’art. 7 della legge n. 300/70 e comporta l’applicazione della tutela indennitaria di cui all’art. 18, comma 6, della medesima, a condizione che il ritardo nella comunicazione del licenziamento sia di scarsa entità.
Per converso, qualora detto ritardo risulti notevole ed ingiustificato, tale da ledere il principio di tempestività in senso non solo formale, ma anche sostanziale, per aver indotto il dipendente a confidare nell’assenza di illiceità della sua condotta in violazione dei canoni di buona fede e correttezza, trova applicazione la tutela reintegratoria di cui all’art. 18, comma 4, della summenzionata normativa.
Alla luce di quanto sopra, il Supremo Collegio – preso atto che il datore di lavoro aveva comunicato al dipendente il licenziamento con un ritardo di soli 10 giorni – ha ritenuto applicabile, in favore di quest’ultimo, la tutela indennitaria, anziché quella reintegratoria e, su tale presupposto, ha cassato la pronuncia di secondo grado, rinviando alla stessa Corte d’Appello che l’aveva resa in diversa composizione, ai fini dell’applicazione del principio di diritto da esso enunciato.

Come possiamo aiutarti?

Consultaci per qualsiasi informazione