A cura di Paolo Zucchinali, Serena Previtali e Francesco Chiarelli
Nella fattispecie esaminata dal Tribunale di Roma, con ordinanza del 13 aprile 2023, un dipendente ha agito in via d’urgenza nei confronti del datore di lavoro -assistito dallo Studio Legale- per impugnare il suo trasferimento da una sede ad un’altra della medesima città, in quanto, a suo avviso, troppo distante dal suo luogo di residenza.
Nelle more del procedimento cautelare, la società ha intimato al dipendente il licenziamento per giusta causa, per assenza ingiustificata dal luogo di lavoro, non avendo il lavoratore mai preso servizio presso la sede di destinazione. La lettera di licenziamento veniva inviata, con raccomandata, all’indirizzo di residenza comunicato dal lavoratore al datore di lavoro, coincidente con quello dallo stesso dipendente dichiarato come indirizzo di propria residenza anche in ricorso. Tale indirizzo, peraltro, coincideva anche con quello ove era stata inviata, con successo, la lettera di contestazione disciplinare che ha preceduto il licenziamento.
La raccomandata in questione, così come la raccomandata ed il telegramma successivamente inviati, venivano, tuttavia, restituiti tutti al mittente, per essere il destinatario risultato “sconosciuto” presso l’indirizzo di destinazione. La lettera di licenziamento, parallelamente, veniva, quindi, prodotta anche in udienza e depositata nel fascicolo telematico del procedimento.
Il Tribunale di Roma, nel ritenere il licenziamento comunque produttivo di effetti, ha osservato che il provvedimento espulsivo, pur non formalmente giunto a conoscenza del suo destinatario, doveva presumersi da questi conosciuto, avendo la società effettuato tutto ciò che era in suo potere per consentire che il provvedimento pervenisse nella sfera di conoscenza del lavoratore; con la conseguenza che l’eventuale mancata conoscenza dell’atto in questione era imputabile esclusivamente alla responsabilità del dipendente.
Nello specifico, a conferma di tale conclusione, il Tribunale di Roma ha evidenziato che “lo stesso ricorrente è stato posto in condizione di conoscere il contenuto della missiva, perché la stessa è stata prodotta all’udienza…in cui il ricorrente era presente. Tanto è vero che ha anche impugnato, seppur in via cautelativa, il suddetto licenziamento, mostrando di conoscere che esso è stato intimato per assenza ingiustificata dal luogo di lavoro, come documentato dalla relativa lettera di impugnazione, prodotta dal procuratore della resistente… A tanto va aggiunto che l’indirizzo di…, presso cui la datrice di lavoro ha inviato due raccomandate ed un telegramma contenenti il provvedimento di licenziamento, è proprio quello comunicato dal lavoratore al datore di lavoro, e presso il quale è regolarmente pervenuta la lettera di contestazione disciplinare che ha preceduto il licenziamento. Ed ancora, siffatto indirizzo coincide con quello che lo stesso…indica in ricorso come quello di residenza, fondando proprio su tale circostanza le doglianze relative al trasferimento comunicatogli dalla datrice di lavoro”.
In punto di diritto, tale conclusione muove dal principio per cui le dichiarazioni recettizie del datore di lavoro, come la comunicazione del licenziamento e della contestazione disciplinare, producono il loro effetto dal momento in cui giungono a conoscenza del destinatario ex art. 1334 c.c. e si presumono da questi conosciute, ai sensi dell’art. 1335 c.c., nel momento in cui vengono recapitate al suo indirizzo.
L’art. 1335 c.c. stabilisce, infatti, una presunzione di conoscenza -o meglio, di conoscibilità- dell’atto, mediante la quale dal fatto noto, costituito dall’arrivo della comunicazione all’indirizzo del destinatario, la legge risalirebbe al fatto ignorato, costituito dalla presa di conoscenza, da parte del destinatario, del contenuto dell’atto. Il destinatario della dichiarazione, dal canto suo, può superare tale presunzione, dimostrando di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di avere notizia del contenuto della comunicazione.
Più nello specifico, secondo la giurisprudenza di legittimità, per superare tale presunzione, è necessario che il destinatario dimostri un fatto o una situazione che spezzi od interrompa in modo duraturo il collegamento tra il destinatario stesso ed il luogo di destinazione della comunicazione e che tale situazione sia incolpevole, vale a dire non superabile con l’uso dell’ordinaria diligenza.
Di contro, osserva il Tribunale capitolino nell’ordinanza che si commenta, il licenziamento deve presumersi conosciuto dal destinatario se il “ripetuto mancato rinvenimento “in loco” dell’abitazione del resistente, da parte dell’incaricato del servizio postale alla consegna della lettera di licenziamento, sia ascrivibile a colpa del ricorrente che, o non ha comunicato al datore di lavoro il proprio recente cambio di indirizzo, come era suo dovere ai sensi dell’art. 237 del CCNL applicato tra le parti, oppure non ha posto l’incaricato postale in grado di rinvenire il proprio nominativo presso lo stabile” in cui ha dichiarato di risiedere.
Il Tribunale, quindi, ha rigettato il ricorso d’urgenza, avendo l’intervenuto licenziamento determinato il venire meno del requisito del periculum in mora.