Rifiuto di svolgere lavoro straordinario e giustificato motivo di licenziamento

Rifiuto di svolgere lavoro straordinario e giustificato motivo di licenziamento

A cura di Orazio Marano

E’ legittimo il licenziamento fondato su contestazione che ha addebitato al lavoratore la mancata effettuazione del lavoro straordinario, in spregio alla direttiva aziendale con la quale era stato stabilito l’aumento dell’orario di lavoro per ragioni di carattere produttivo.
Quanto sopra, in ragione del fatto che le modalità di determinazione ed esecuzione del lavoro straordinario possono essere oggetto di contrattazione collettiva, sicché è facoltà del datore di lavoro ordinare l’esecuzione di lavoro straordinario, nei limiti previsti dalla contrattazione collettiva.
Trattasi di principio ribadito recentissimamente da una pronunzia della Suprema Corte (la n. 10623 del 20 aprile 2023), con cui i giudici di legittimità hanno evidenziato che il d. lgs. n. 66 del 2003, all’art. 5, rimette espressamente alle parti collettive la regolamentazione dei limiti del ricorso al lavoro straordinario, con conseguente possibilità – da parte del datore di lavoro – di richiedere al lavoratore prestazioni di lavoro straordinario nei limiti stabiliti dalla contrattazione collettiva (nel caso di specie, stante le previsioni del CCNL di settore, nel rispetto della c.d. quota esente, senza preventiva consultazione o informazione alle organizzazioni sindacali e con un preavviso di almeno 24 ore).
Con la pronunzia in commento, la Suprema Corte, nel motivare l’inammissibilità dei motivi di cui al ricorso proposto dal lavoratore (la questione sottoposta ai giudici di legittimità trae origine da un licenziamento per giusta causa – convertito in giustificato motivo soggettivo – comminato a un lavoratore che aveva, più volte, rifiutato di eseguire ore di lavoro straordinario, integrando così una condotta insubordinata e recidiva), ha (tra l’altro) osservato che: a) l’assenza di specifica previsione collettiva nel senso della sanzionabilità della concreta fattispecie con misura espulsiva, risulta ininfluente ai fini della configurazione del notevole inadempimento posto alla base del giustificato motivo di licenziamento, considerato il carattere meramente esemplificativo delle previsioni collettive; b) la decisione impugnata dal lavoratore risulta coerente con l’indicazione del Regolamento aziendale circa la necessità di parametrare le conseguenze disciplinari del rifiuto di espletamento del lavoro straordinario, alla gravità della condotta e al disagio organizzativo causato al datore di lavoro (entrambi positivamente accertati nel caso di specie); c) quanto, da ultimo, alla ripartizione dell’onere della prova sul meccanismo “richiesta datoriale/rifiuto del lavoratore”, è onere del datore di lavoro provare la sussistenza del fatto posto a fondamento del licenziamento (nel caso di specie, la mancata esecuzione delle prestazioni di lavoro straordinario), mentre al lavoratore spetta la dimostrazione delle eccezioni che giustificano il rifiuto di eseguire l’ordine datoriale (per quel che qui interessa, l’asserito avvenuto superamento della c.d. quota esente prevista dalla contrattazione collettiva, che però non risulta essere stato provato).
Peraltro, poiché il CCNL di settore applicato alla fattispecie in esame sanziona l’insubordinazione “semplice” con il licenziamento con preavviso e la “grave insubordinazione verso i superiori ” con il licenziamento senza preavviso, i giudici di legittimità hanno evidenziato che il “notevole inadempimento” accertato dai giudici d’appello – pur non escludendo che la condotta addebitata al lavoratore integrasse i caratteri della “insubordinazione” – ne ridimensiona la gravità, che quindi non era tale da impedire la prosecuzione, neppure provvisoria, del rapporto di lavoro.

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