(Trib. Brescia, 30 luglio 2019)
La sentenza del Tribunale di Brescia, che riguarda un licenziamento intimato per furto di prodotti di proprietà della società datrice di lavoro, offre lo spunto per fare alcune riflessioni in tema di prova “informatica”. Nel caso giudicato, al fine di dimostrare la sottrazione di merce, il datore di lavoro aveva prodotto in giudizio alcuni filmati tratti dal sistema di videosorveglianza, che erano stati contestati dal lavoratore, il quale sosteneva che non costituissero una prova valida.
Precisamente, era stata contestata l’autenticità dei video in quanto estratti dalle telecamere – e poi prodotti in giudizio – senza l’adozione di una procedura idonea ad assicurarne la conformità agli originali. Le censure erano basate sul disposto degli artt. 247, co. 1 bis, e 254 bis cod. proc. pen. – che attengono alla perquisizione e al sequestro di materiale informatico – ai sensi dei quali le copie dei documenti informatici possono essere acquisite dagli organi inquirenti solo tramite modalità tali da escluderne l’alterazione. Si sosteneva, quindi, che le stesse regole dovessero applicarsi anche alla prova informatica nel processo del lavoro e che, nella fattispecie, i files video prodotti non avevano garanzia di autenticità in quanto privi del c.d. “codice hash”.
Sul tema e relativamente al processo penale, va osservato che la Corte di Cassazione ha stabilito che la copia del documento informatico (es: file video, audio etc.) deve essere estratta con modalità tali da assicurarne l’identità con l’originale e la sua immodificabilità. In altre parole, deve essere creata una “copia immagine” (detta anche “copia forense”) che riproduce il dato duplicato nelle stesse condizioni in cui si trovava al momento della sua acquisizione (cfr. Cass. pen, sez. un., 20 luglio 2017, n. 40963; Cass. pen., 31 ottobre 2017, n. 53810). Sulla scorta di tali principi, sono state ritenute regolarmente acquisite al processo penale, ad es., le copie di files audio di un’intercettazione telefonica, accompagnate dai relativi “codici hash”, i quali consistono in sequenze alfanumeriche rappresentative dei files originali e delle relative copie (Cass. pen., 10 maggio 2019, n. 38009).
Nella sua decisione, il Tribunale di Brescia ha, tuttavia, escluso che la prova “informatica” in sede civile debba avere le suddette caratteristiche e, viceversa, ha ritenuto che un documento informatico (ad es. un video) possa essere acquisito in giudizio anche senza la garanzia della sua corrispondenza all’originale, ben potendo lo stesso documento essere confermato e/o corroborato da altri elementi probatori, quali le dichiarazioni testimoniali.
Gli stessi concetti sono stati espressi da altre sentenze, che hanno sottolineato che l’acquisizione dei mezzi di prova informatici è soggetta a regole diverse a seconda che si tratti di processo penale e processo civile. Infatti, nel processo civile (e del lavoro, in particolare), un documento informatico prodotto anche senza la rispettiva “copia forense” è liberamente acquisibile dal Giudice che potrà vagliarne l’attendibilità attraverso altri mezzi istruttori, quali, tra gli altri, le prove testimoniali (Trib. Milano, 9 marzo 2017, n. 709).
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