A cura della Redazione Biblioteca
“All’illustre Professore Cesare Grassetti, con devozione antica e affettuosa. A.P.”. Basterebbe questa dedica, scritta a penna sulle pagine ormai ingiallite di un libro letto e consultato da Cesare Grassetti, e più ancora dai suoi molti allievi, a comunicare l’attaccamento e la considerazione che il Professore suscitava in chi entrava in contatto con lui.
Basterebbe la dedica. Ma a essa, con partecipato trasporto, si aggiunge anche la lettera accompagnatoria che l’autore del volume (che oggi presentiamo) allegò al testo, nel momento in cui lo inviava al Professore: “Illustre e caro Professore… la mia devozione per Lei è antica ma mi fa piacere che trovi ancora un’occasione per manifestarsi. Essa scaturisce da quella profonda gratitudine verso chi ci ha insegnato scienza e stile di vita”. A scrivere è A. P., Antonio Palazzo, nato a Palermo, classe 1937, ben noto giurista, già professore Ordinario di Istituzioni di diritto privato della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Perugia e nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Palermo. Il libro è Sindacato, impresa e istituzioni, pubblicato nel 1979: un tema “caldo” in uno dei momenti più significativi nel processo di creazione stessa del Diritto del Lavoro che, con lo Statuto dei Lavoratori del 1970 e la riforma del processo del lavoro del 1973, stava conoscendo una nuova e impegnativa stagione. Queste parole, scritte a penna in bella grafia e oggi conservate nella nostra Biblioteca – testimonianza autografa e, in quanto tale, unica – sono significative perché restituiscono un sentire che fu proprio, nel corso di interi decenni, ai moltissimi allievi del Professor Grassetti e che oggi è diventato un sentimento molto raro: la gratitudineper il proprio maestro.
A questo proposito valgono le parole di Ugo Carnevali che, nel suo intervento nel volume Gli 80 anni della Facoltà di Giurisprudenza(a cura di R. Clerici, Milano 2006), scriveva: “Quando chiamava i suoi allievi a rapporto per informarsi sullo svolgimento delle loro ricerche, dopo averli ascoltati con attenzione [Grassetti] soleva chiedere: questo a cosa serve? E se non vedeva conseguenze pratiche applicative non esitava a demolire la tesi che gli era stata esposta. Chi vi parla, che ha avuto il privilegio di essere uno dei suoi allievi, desidera testimoniare anche in questa occasione la sua gratitudine verso il maestro per l’insegnamento di rigore scientifico ricevuto. E appunto il profilo di Grassetti non sarebbe completo se non si accennasse a un altro aspetto. Tra i doveri dei professori universitari rientra, o dovrebbe rientrare, quello di formare i docenti di domani. A differenza dei suoi predecessori che non formarono allievi (il solo Pacchioni ebbe un allievo, Grassetti appunto), Grassetti merita a buon diritto il titolo di caposcuola. Egli seppe infondere l’amore per la ricerca scientifica a una numerosa schiera di allievi, tutti giunti alla cattedra universitaria”. Sembra di leggere, a decenni di distanza, le parole che la lettera e il volume conservati nella nostra Biblioteca ci riportano oggi alla luce.