(Tribunale di Milano, 14 gennaio 2013, ord.)
Con questa ordinanza, il Tribunale di Milano ha stabilito che il lavoratore può opporsi al trasferimento, invocando il suo diritto ad assistere un familiare invalido ai sensi dell’art. 33, l. n. 104/1992, solo se dimostri lo stato di “handicap grave” tramite la documentazione di legge e che, per provare il carattere ritorsivo del trasferimento, occorre dimostrare che la ragione discriminatoria è la sola posta a base delle scelte datoriali.
Nello specifico, un lavoratore ha impugnato, in via cautelare, il trasferimento comunicatogli dalla società datrice, deducendo che lo spostamento in altra zona del territorio nazionale gli avrebbe creato un danno perché gli avrebbe impedito di assistere quotidianamente il padre convivente affetto da grave invalidità; a dimostrazione dell’infermità del familiare, il lavoratore ha prodotto il certificato di invalidità civile del genitore e ha sostenuto il diritto di rimanere nella sua sede di lavoro, per poter usufruire dei permessi di cui all’art. 33, co. 3, Legge 5 febbraio 1992, n. 104.
Il lavoratore ha, poi, affermato la natura ritorsiva del trasferimento, che assumeva essere l’ultimo atto di un comportamento aziendale concretizzatosi, negli ultimi tempi, nell’irrogazione di diverse sanzioni disciplinari.
Il Tribunale, accogliendo la tesi dell’azienda, ha escluso l’esistenza del pregiudizio, osservando che non era stato provato, da parte del dipendente, lo stato di handicap grave del genitore. Secondo il Giudice milanese, il lavoratore che si opponga al trasferimento, invocando lo stato di invalidità di un familiare, per assistere il quale necessita dei permessi di legge, deve dimostrare lo stato di handicap grave esclusivamente esibendo la documentazione rilasciata dalle commissioni mediche istituite presso le unità sanitarie locali di cui all’art. 4, L. n. 104/1992. Nessun altro documento è rilevante.
Il Tribunale ha anche escluso che il trasferimento fosse dettato da ragioni ritorsive derivanti da precedenti contestazioni disciplinari, seguite da sanzioni, perché il lavoratore, in sede di giustificazioni, aveva riconosciuto la fondatezza degli addebiti ascrittigli e perché non aveva, comunque, provato che la ragione discriminatoria era stata la sola motivazione che sorreggeva il trasferimento. Anzi, l’assenza di contestazioni delle ragioni oggettive poste a giustificazione del provvedimento traslativo – soggiunge il Giudice – porta ad escludere ogni intento ritorsivo.
Causa seguita da Marina Olgiati e Francesco Torniamenti