
A cura di Francesco Autelitano
Nell’ambito della tematica della cessione d’azienda e della responsabilità dell’acquirente per i debiti relativi all’azienda stessa si segnala il peculiare caso relativo alla cessione di azienda bancaria, il cui esame suscita interesse sia con riguardo alla disciplina speciale del settore creditizio che per gli utili spunti che emergono dal raffronto con la normativa generale prevista dal Codice civile in materia di cessione d’azienda.
La giurisprudenza è stata più volte chiamata a pronunciarsi in merito a fattispecie relative alla successione nei debiti in caso di cessione di azienda bancaria e a valutare, quindi, se i debiti attinenti ai rapporti giuridici formatisi nel periodo di gestione della cedente siano da imputarsi alla cedente stessa ovvero alla cessionaria.
Un caso che, in tale ambito, si presenta nella pratica con una certa frequenza (a seguito di operazioni su gruppi bancari che determinano la cessione di filiali) riguarda l’azione promossa dal cliente verso la banca, in cui il primo chieda la dichiarazione di invalidità di taluni contratti stipulati con la banca cedente (ad esempio, in ragione dell’esistenza di clausole nulle per violazione delle norme imperative in materia di interessi) e la conseguente condanna alla ripetizione delle somme indebitamente versate dal cliente medesimo.
La Corte di Cassazione, in ordine a simili fattispecie, ha giudicato che il cessionario dell’azienda bancaria (e non il cedente di essa) risponde dei debiti restitutori sopra citati, in applicazione dell’art. 58, co. 5, del d.lgs., 1° settembre 1993, n. 385 (c.d. Testo Unico Bancario o, in breve, T.U.B.), per il quale, decorsi tre mesi dagli adempimenti pubblicitari di cui all’art. 58, co. 2, T.U.B., delle obbligazioni oggetto di cessione risponde il cessionario in via esclusiva (Cass., 22 marzo 2023, n. 8272).
La Suprema Corte, in proposito, richiama la natura speciale delle citate disposizioni bancarie rispetto alla disciplina comune prevista dal Codice civile in materia di cessione d’azienda.
Giova infatti rammentare che, nella normativa generale, l’art. 2560 cod. civ. stabilisce che l’alienante non è liberato dai debiti inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta se non risulta che i creditori vi hanno consentito (1° comma); e che, nel trasferimento di un’azienda commerciale, risponde dei debiti suddetti anche l’acquirente dell’azienda, se essi risultano dai libri contabili obbligatori (2° comma).
La legge bancaria, invece, all’art. 58, co. 5, T.U.B., prevede che i creditori ceduti hanno facoltà, entro tre mesi dagli adempimenti pubblicitari di cui al comma 2, di esigere dal cedente o dal cessionario l’adempimento delle obbligazioni oggetto di cessione; e che, trascorso tale termine, il cessionario risponde in via esclusiva.
Si tratta, quindi, di comprendere la portata delle differenze di disciplina scaturenti dalle due normative ed il rapporto intercorrente fra queste ultime.
La prima differenza di immediata evidenza è costituita dal fatto che, nella normativa comune, il cedente è liberato dalla responsabilità del debito solo se vi è il consenso dei creditori, in assenza del quale, dunque, opera la regola per cui cedente e cessionario rispondono in solido dei debiti inerenti all’azienda ceduta risultanti dai libri contabili obbligatori; mentre nella normativa bancaria, l’alienante è liberato anche senza il consenso dei creditori, salvo che questi agiscano contro di lui entro tre mesi dalla pubblicazione della cessione in Gazzetta Ufficiale. A seguito del decorso di tale termine, rimane l’esclusiva responsabilità, verso il terzo, della cessionaria. Vi è tuttavia una seconda differenza sostenuta dalla giurisprudenza, confermata dall’ordinanza di legittimità sopra citata. Mentre nel Codice civile, come si è detto, l’acquirente dell’azienda risponde nei limiti dei debiti risultanti dai libri contabili (per gli altri dovendo rispondere l’alienante), tale limitazione non sarebbe operante nel settore bancario, nel quale, di conseguenza, la cessione dell’azienda implicherebbe la responsabilità dell’acquirente per tutti i debiti inerenti all’azienda stessa, anche laddove non risultanti dalle scritture sociali.
A supporto di tale interpretazione (oltre a rilevarsi la natura di norma speciale dell’art. 58 T.U.B. ), viene detto che l’art. 2560 Codice civile subordina la liberazione dell’alienante al consenso del creditore, mentre il comma quinto dell’art. 58 T.U.B. attribuirebbe una minore tutela per il creditore, prevedendo un effetto di liberazione automatica del debitore originario (cioè del cedente), da ciò deriverebbe la necessità di una sorta di “compensazione”, negli strumenti di tutela del creditore, che giustificherebbe, in caso di trasferimento di azienda bancaria, l’estensione della responsabilità del cessionario ai debiti anche non iscritti in contabilità (come, invece, stabilito dall’art. 2560 cod. civ.).
Viene inoltre rilevata l’esigenza di speditezza e di chiarezza connessa ai trasferimenti di complessi aziendali nell’ambito del sistema creditizio, a causa dell’ampiezza degli interessi coinvolti.
I motivi sopra sinteticamente richiamati sono dunque alla base dell’orientamento giurisprudenziale allo stato prevalente, secondo il quale, nella disciplina speciale relativa al settore bancario, la cessionaria risponda dei debiti inerenti all’azienda acquistata in termini più ampi rispetto a quelli previsti per la successione nei debiti in caso di cessione di azienda di diritto comune.