Legittimo il licenziamento del dipendente, operante a contatto con il pubblico, condannato con sentenza penale irrevocabile per maltrattamenti (Cass. n. 31866/2024)

Legittimo il licenziamento del dipendente, operante a contatto con il pubblico, condannato con sentenza penale irrevocabile per maltrattamenti (Cass. n. 31866/2024)

A cura di Leonardo Calella

Secondo il consolidato orientamento della Corte di Cassazione, da una parte, anche fatti extra-lavorativi possono avere rilevanza disciplinare e, financo, giustificare il licenziamento, in conformità all’interpretazione estensiva della nozione legale di giusta causa teorizzata, già dalla seconda metà degli anni ‘60, dall’indimenticato Prof. Avv. Cesare Grassetti. Dall’altra parte, il predetto principio non attribuisce al datore di lavoro la possibilità di intimare legittimamente il recesso, in relazione a qualsiasi condotta tenuta dal dipendente che sia stata giudicata penalmente rilevante.

Sul punto, significativi elementi di riflessione possono ricavarsi dalla sentenza n. 31866 dell’11 dicembre 2024.

La vicenda esaminata dalla Suprema Corte ha ad oggetto la destituzione dal servizio di un conducente di autobus di una azienda di trasporto pubblico: i) condannato alla pena di due anni e due mesi di reclusione per i reati di violenza sensuale, maltrattamenti familiari e lesioni personali consumati, con abitualità, a danno della moglie; ii) già sanzionato disciplinarmente nel corso del rapporto di lavoro per insubordinazione.

Il dipendente ha proposto ricorso, chiedendo al Giudice del Lavoro di accertare la nullità o illegittimità del recesso.

Sia nell’ambito della fase sommaria sia nei successivi giudizi di merito di primo e di secondo grado, il ricorso del lavoratore è stato rigettato.

In particolare, la Corte d’Appello ha giudicato che la commissione di plurimi fatti di significativa gravità, in un lungo arco temporale, osti alla prosecuzione del rapporto di lavoro, in considerazione, anzitutto, del contenuto delle mansioni svolte dal dipendente, le quali richiedono la capacità di mantenere il controllo, in condizioni di stress, nel costante contatto con il pubblico e durante la guida nel traffico.

Inoltre, a detta del Giudice di secondo grado, il recesso era da considerarsi proporzionato, tenuto conto non solo dei precedenti disciplinari del lavoratore ma anche della posizione di garanzia rivestita dalla Società sia nei confronti degli utenti, rispetto ai quali deve essere evitato, anche per la natura pubblicistica del servizio erogato, ogni atteggiamento potenzialmente offensivo o violento, sia del personale dipendente dell’azienda stessa.

È stata, invece, considerata irrilevante dalla Corte d’Appello la condotta positiva tenuta dal lavoratore successivamente alla condanna, dal momento che la valutazione della legittimità dei fatti posti a fondamento del licenziamento prescinde da accadimenti verificatisi successivamente.

Avverso la sentenza di secondo grado, il dipendente ha interposto ricorso per Cassazione, il quale è stato integralmente rigettato.

In particolare, la Suprema Corte ha ribadito il principio secondo il quale è disciplinarmente rilevante il comportamento illecito tenuto dal lavoratore, al di fuori del contesto lavorativo, laddove leda gli interessi morali e materiali del datore di lavoro, sino a giustificare il licenziamento, se la condotta è connotata da gravità tale da far venir meno irrimediabilmente il rapporto fiduciario (Cass. n. 267/2024; Cass. n. 28368/2021; Cass. n. 16268/2015).

Nella specie, dall’abitualità delle violenze perpetrate dal dipendente entro le mura domestiche e dalla sussistenza di precedenti disciplinari, la Corte di Cassazione ha ritenuto comprovata la pericolosità in concreto del dipendente e la sua idoneità a far definitivamente venir meno la fiducia del datore di lavoro sulla futura corretta esecuzione della prestazione lavorativa.

Esula dalla valutazione della gravità dei fatti posti a fondamento del licenziamento, secondo la Suprema Corte, il percorso riabilitativo iniziato dal lavoratore, a seguito della condanna penale, essendo temporalmente successivo ai fatti contestati e, comunque, inidoneo ad elidere retroattivamente l’impatto negativo dei comportamenti posti a fondamento del recesso.

Dal decisum della Corte di Cassazione possono ricavarsi due ordini di riflessioni.

In primo luogo, non può dirsi di per sé preclusa al datore di lavoro la possibilità di intimare il licenziamento per fatti obiettivamente attinenti alla vita di relazione del lavoratore. È, perciò, da considerarsi sempre più labile il confine tra la sfera privata del dipendente, di per sé ininfluente nelle dinamiche del rapporto di lavoro, e i comportamenti disciplinarmente rilevanti; soprattutto, laddove siano poste in essere dal lavoratore condotte rispetto alle quali non si sia pronunciato, in via definitiva, il Giudice penale.

In secondo luogo, la pronuncia in commento – così come il consolidato indirizzo della Suprema Corte – subordina la legittimità del licenziamento all’accertamento dell’incidenza della condotta extra-lavorativa penalmente rilevante sul rapporto di lavoro o, comunque, sulla sicurezza dell’ambiente lavorativo.

Tale incidenza va valutata caso per caso, tenendo conto, anzitutto, del carattere delle mansioni svolte dal dipendente e dell’eventuale ricorrere di precedenti disciplinari che comprovino il disvalore della condotta posta in essere dal lavoratore.

Tanto maggiore è l’incidenza della condotta penalmente rilevante sul contenuto della prestazione lavorativa e/o sull’ambiente lavorativo nella quale si inserisce, tanto maggiore potrà essere sia la rilevanza disciplinare del comportamento sia la severità della sanzione irrogabile dal datore di lavoro.

Seppur non direttamente vagliata nella sentenza in commento, è ipotizzabile che anche l’anzianità lavorativa maturata dal dipendente in azienda possa costituire un parametro determinante nella valutazione della rilevanza disciplinare della condotta extra-lavorativa penalmente rilevante. È ragionevole, infatti, ritenere che tanto più elevata è l’anzianità di servizio, tanto maggiore dovrà essere l’idoneità della condotta del lavoratore ad incidere negativamente su un rapporto di lavoro di lungo corso.

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