A cura di Ilaria Pitingolo e Alice Testa
In tempi recenti e soprattutto negli ultimi tre anni, il mondo del lavoro si è trovato a fronteggiare nuove sfide, dovendosi adeguare ad un contesto socio-culturale nuovo ed eterogeneo. Un’esigenza di cambiamento accelerata dalla pandemia che ha portato le aziende, nel tentativo di fronteggiarla, a sperimentare nuove modalità di lavoro oggi difficilmente rinunciabili.
Il riferimento è innanzitutto al lavoro ibrido (o smart-working), diventato ormai una realtà (quasi) consolidata in grado di offrire ai dipendenti un maggiore bilanciamento tra vita privata e lavoro, oltre che una maggiore flessibilità della prestazione lavorativa, non più rigidamente ancorata ad una sede fisica. Proprio a partire dal 2023 troverà applicazione l’obbligo di stipulare con i dipendenti un accordo per lo svolgimento del lavoro in modalità ibrida lasciandosi alle spalle la disciplina emergenziale legata alla pandemia. In questo contesto sarà di vitale importanza la predisposizione di nuovi modelli organizzativi improntati a garantire la commistione delle diverse modalità di lavoro all’interno dell’azienda e, al contempo, individuare iniziative capaci di creare un clima di coesione e di collaborazione tra i dipendenti, nonostante la distanza fisica. I vantaggi dello smart-working in termini di incremento della produttività, risparmio economico e impatto ambientale sono d’altronde stati sperimentati dalla maggior parte delle realtà aziendali ed oggi più che mai i risparmi generati dal ricorso al lavoro da remoto sono uno strumento utile per fronteggiare l’impatto della crisi finanziaria. Non mancano però aspetti ancora irrisolti con cui, probabilmente, le direzioni HR dovranno fare i conti. Si pensi ad esempio alla difficile gestione degli obblighi in materia di salute e sicurezza del lavoratore agile o a tematiche quali il diritto alla disconnessione che potrà e dovrà essere garantito ricorrendo, ad esempio, alla redazione di policies volte a regolare il c.d. work-life balance. Parlando di equilibrio tra vita privata e lavoro una riflessione merita anche la recente diffusione, a livello internazionale, di proposte volte a introdurre la c.d. “settimana corta” riducendo i giorni effettivi di lavoro (a 3 o 4 nella settimana) e
implementando, al contempo, l’orario giornaliero. E ciò al dichiarato fine di garantire ai dipendenti una maggiore flessibilità e serenità nella gestione del tempo dedicato al lavoro. L’attualità e l’interesse che suscitano tali iniziative sono (forse) il frutto dell’eredità lasciata dalla pandemia e dal massivo ricorso al lavoro da remoto che hanno, in alcuni casi, fatto emergere tra i dipendenti episodi di stress- lavoro correlato e burn-out. Non è un caso che negli ultimi anni sia balzato alle cronache il fenomeno della c.d. Great Resignation (un significativo aumento delle dimissioni volontarie registrato soprattutto tra i lavoratori under 40) e, ancor più di recente, il c.d. quiet quitting (ampio spettro di comportamenti che rivelano un’apatia e un generale disinteresse del dipendente nei confronti del lavoro e si concretano nell’agire facendo il c.d. minimo indispensabile). Tali fenomeni impongono una considerazione sull’opportunità per le aziende di investire in strumenti e risorse per incrementare il benessere dei dipendenti, rendendo la realtà aziendale più competitiva e attrattiva per la forza lavoro. Spazio dunque allo sviluppo di politiche di welfare aziendale, alla concessione di benefit, e alla revisione delle politiche retributive anche attraverso l’introduzione di soluzioni personalizzate in base alle esigenze del singolo dipendente. In un mondo in continua evoluzione anche il ricorso ad attività di formazione dei lavoratori avrà un ruolo sempre più importante nell’ottica, da un lato, di implementare le competenze e le specializzazioni, e dall’altro, di accrescere il sentimento di appartenenza (c.d. belonging) del dipendente, che vede il proprio ruolo valorizzato e riconosciuto. L’azienda porà trarne vantaggio anche in termini di riduzione dell’eccesso di turn-over.
Un altro aspetto su cui concentrare le energie è legato all’ormai crescente attenzione di dipendenti e potenziali candidati ai temi della sostenibilità, del Gender Gap e della D&I (Diversity and Inclusion). Un’azienda, per essere attrattiva sul mercato del lavoro, non potrà dunque trascurare iniziative legate alla sostenibilità economico-ambientale e all’attuazione di programmi volti a garantire la parità di genere (anche in termini retributivi), l’inclusione e l’interculturalità. D’altronde una spinta in tal senso proviene anche dalle recenti Direttive Europee in materia di salario minimo e di equilibrio di genere (“Women on Boards”). In tale contesto assumerà altrettanta importanza l’adozione o il miglioramento di policies che individuino e regolino sistemi e strumenti per contrastare comportamenti irrispettosi o discriminatori sul posto di lavoro, tutelando coloro che segnalano irregolarità, violazioni di legge o illeciti penali commessi in ambito lavorativo (c.d. Whistleblowing).
Nell’ambito dei processi di automatizzazione e digitalizzazione delle funzioni HR, sia in fase di recruiting che di gestione del rapporto di lavoro, le aziende potranno poi sfruttare le opportunità offerte dalle tecnologie più avanzate, ma dovranno confrontarsi con le sfide legate alla compliance di tali strumenti alla normativa Privacy e non solo. Nel 2022 sono infatti stati introdotti, con il c.d. Decreto Trasparenza, nuovi obblighi di informativa in capo al datore di lavoro. Tali stringenti obblighi riguardano anche l’adozione di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati. Seppure ancora non via sia certezza sulle tipologie di strumenti rientranti nella definizione legislativa, potrebbe trattarsi ad esempio dei sistemi che, nella fase di recruiting, operano la profilazione automatizzata dei candidati, lo screening dei curricula, oppure di software per il riconoscimento emotivo e test-psicoattitudinali, nonché per l’assegnazione o la revoca automatizzata di compiti o turni etc. Analogamente sono previsti obblighi informativi in caso di utilizzo di sistemi automatizzati che forniscano indicazioni sulla sorveglianza, la valutazione, le prestazioni e l’adempimento delle obbligazioni contrattuali dei lavoratori quali ad esempio tablet, dispositivi digitali, gps e geolocalizzatori, sistemi per il riconoscimento facciale, sistemi di rating e ranking, etc.
Tra compliance legale ed esigenze di innovazione continua, anche il 2023 si presta ad essere un anno di obiettivi sfidanti per le direzioni HR la cui funzione è sempre più centrale nell’ottica di garantire, attraverso la gestione della forza-lavoro, la crescita e il futuro delle aziende.