L’estensione della negoziazione assistita alle controversie di lavoro

L’estensione della negoziazione assistita alle controversie di lavoro

A cura di Giorgio Molteni

L’istituto della negoziazione assistita è stato introdotto nel nostro ordinamento dal D.L. 12 settembre 2014, n. 132, convertito in legge 10 novembre 2014, n. 162. Secondo quanto ivi stabilito, la convenzione di negoziazione assistita è un accordo mediante il quale le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia tramite l’assistenza di avvocati iscritti all’albo; la convenzione deve precisare il termine (non inferiore a un mese e non superiore a tre mesi) concordato tra le parti per l’espletamento della procedura. Se quest’ultima ha esito positivo, l’accordo così concluso – del quale gli avvocati certificano la conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico, oltre che l’autenticità delle firme delle parti – costituisce titolo esecutivo.

L’art. 7 del D.M. n. 132/2014 prevedeva la possibilità di ricorrere alla negoziazione assistita anche per le controversie di lavoro, precisando espressamente che l’accordo eventualmente raggiunto al termine della procedura era sottratto al regime di impugnazione previsto dall’art. 2113 c.c.. La legge di conversione del decreto, però, ha abrogato la citata disposizione, escludendo esplicitamente il ricorso alla negoziazione assistita in materia di lavoro. Tale inversione di rotta è il frutto della contrarietà manifestata dalle associazioni sindacali rispetto alla negoziazione assistita in materia di lavoro, nonché del parere negativo espresso, sul punto, dal CSM, secondo il quale, in presenza di una sproporzione di potere tra le parti, la disciplina dei diritti derivanti dal rapporto di lavoro non può essere affidata alla libera determinazione individuale dei soggetti coinvolti, neppure se assistiti da un legale, essendo invece necessaria la presenza di una parte terza e imparziale in grado di vigilare sull’equità della soluzione concordata, come accadrebbe nelle conciliazioni ex artt, 411 e 412- ter c.p.c. Tale rilievo critico, in realtà, non appariva affatto condivisibile, perché – a tacer d’altro – anche le conciliazioni in sede sindacale hanno una struttura meramente negoziale, senza l’intervento di alcun soggetto terzo e imparziale, non potendosi certo ritenere tali i rappresentanti delle organizzazioni cui le parti sono iscritte o hanno conferito mandato, che forniscono alle stesse un’assistenza tecnica nella fase di conclusione dell’accordo, proprio come avviene nella negoziazione assistita.

Negli anni successivi l’Associazione Giuslavoristi Italiani, con il supporto unanime degli organismi dell’avvocatura (CNF e OCF), si è battuta contro l’esclusione delle controversie di lavoro dalla negoziazione assistita, che pareva frutto di una malcelata e ingiustificata diffidenza nei confronti della classe forense; a sostegno di tale rivendicazione si è correttamente sottolineato che la parità di condizioni tra le parti viene ristabilita attraverso la presenza del difensore del lavoratore, garantendo a quest’ultimo un’assistenza certamente non inferiore a quella fornitagli nelle conciliazioni in sede sindacale (è ben noto, del resto, che la giurisprudenza – in più occasioni – ha ritenuto invalide conciliazioni concluse in sede sindacale proprio perché, nei casi esaminati, era stata riscontrata la mancanza di un’assistenza effettiva del lavoratore, tale – cioè – da consentirgli di individuare esattamente i diritti ai quali rinunciava ed in quale misura, venendo così meno la funzione di supporto che la legge assegna al sindacato nella fattispecie conciliativa).

Le ripetute istanze dell’avvocatura hanno infine trovato accoglimento con la legge n. 206/2022 (recante delega al governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie), la quale – al termine di un complesso e travagliato iter legislativo – ha indicato, tra i criteri direttivi impartiti al legislatore delegato per la modifica delle vigenti disposizioni in materia di negoziazione assistita, anche l’estensione di tale istituto alle controversie di lavoro. In attuazione della delega, il D. Lgs. n. 149/2022 ha inserito nel D.L. n. 132/2014 il nuovo art. 2 – ter, ai sensi del quale per le controversie di cui all’art. 409 c.p.c. le parti possono ricorrere alla negoziazione assistita, a condizione che ciascuna di loro sia assistita da almeno un avvocato e, ove lo ritenga, anche da un consulente del lavoro; la disposizione in esame fa espressamente salva la possibilità di conciliare le suddette controversie anche presso le sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative, ai sensi dell’art. 412 – ter c.p.c., sicché la negoziazione assistita non sostituisce la conciliazione sindacale ma si aggiunge ad essa, offrendo alle parti un’ulteriore modalità per concludere accordi transattivi non impugnabili ai sensi dell’art. 2113 cod. civ.. La nuova norma, infatti, prevede espressamente che all’accordo raggiunto all’esito della procedura di negoziazione assistita si applica il quarto comma dell’art. 2113 c.c., sicché tale accordo – al pari di quelli conclusi innanzi al giudice, all’Ispettorato Territoriale del Lavoro, alle commissioni di certificazione o in sede sindacale – è sottratto al regime di impugnazione previsto dai primi tre commi dello stesso art. 2113. Resta naturalmente salva, invece, la possibilità di impugnare l’accordo – in base ai principi generali – qualora esso sia nullo (in quanto avente ad oggetto diritti assolutamente indisponibili, o per contrarietà a norme imperative di legge) ovvero annullabile per vizio della volontà (errore, violenza o dolo). Il ricorso alla negoziazione assistita nelle controversie di lavoro non è obbligatorio ma meramente facoltativo, non costituendo esso condizione di procedibilità della domanda giudiziale.

In accoglimento delle proposte della Commissione Giustizia del Senato e della Camera formulate nei pareri espressi ai sensi dell’art. 1, comma 2, della legge n. 206/2022, il decreto delegato ha previsto, infine, che l’accordo raggiunto all’esito della negoziazione assistita deve essere trasmesso, entro dieci giorni, ad uno degli organismi deputati alla certificazione dei contratti di lavoro, di cui all’art. 76 del D. Lgs. n. 276/2003.

Il significato di tale ulteriore adempimento, per la verità, non è chiaro, né la relazione illustrativa al decreto delegato fornisce ulteriori lumi al riguardo. A parer mio, certamente non può ritenersi che l’accordo sia assoggettato a certificazione ai sensi dell’art. 82 del D. Lgs. n. 276/2003, perché ciò sarebbe in palese contrasto con la legge delega, la quale assicura la non impugnabilità dell’accordo raggiunto tra le parti con l’assistenza dei rispettivi avvocati, dovendosi pertanto escludere un intervento di soggetti terzi ai fini della sua validità, come pure della sua stabilità ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 2113 c.c..

In attesa di auspicabili chiarimenti ministeriali sul punto, si può ipotizzare che la trasmissione dell’accordo ad un organismo di certificazione serva ad attribuire allo stesso una data certa nonché ad assicurare la possibilità di controllo, da parte delle competenti autorità, sul corretto adempimento degli obblighi contributivi e fiscali derivanti da tale accordo, verifica che non sarebbe possibile se quest’ultimo rimanesse unicamente nella disponibilità delle parti e/o dei rispettivi legali.

Le disposizioni del D.Lgs. n. 149/2022 dovevano entrare in vigore a partire dal 30 giugno 2023, ma la legge di bilancio recentemente approvata dal Parlamento ne ha anticipato l’efficacia al 28 febbraio 2023.

In conclusione, deve valutarsi positivamente la novità introdotta dalla riforma, che riconosce il ruolo non di rado svolto dagli avvocati nella composizione delle controversie di lavoro, sottraendo al regime di impugnabilità previsto dai primi tre commi dell’art. 2113 c.c. gli accordi raggiunti dalle parti con l’assistenza dei rispettivi legali, ed evita così alle parti stesse (imprese e lavoratori) i tempi ed i costi della successiva formalizzazione in sede protetta, la quale rappresenta – di fatto – un inutile rituale, che svilisce ingiustificatamente la funzione di soggetti (gli avvocati) dotati di particolare qualificazione professionale e tenuti al rispetto dei doveri di competenza (dal punto di vista deontologico, infatti, l’avvocato non può accettare incarichi su materie nelle quali non sia adeguatamente preparato), di diligenza e di patrocinio fedele e indipendente.

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