Profili fiscali dello Smart Working transfrontaliero

Profili fiscali dello Smart Working transfrontaliero

A cura di Luca Peron

Con circolare n. 25/E in data 18 agosto 2023 l’Agenzia delle Entrate è intervenuta a chiarire alcuni importanti aspetti di trattamento fiscale dello Smart Working transfrontaliero.
Negli ultimi anni, grazie ai continui progressi tecnologici e alla spinta acceleratrice dell’emergenza pandemica, si è assistito ad un costante incremento dell’impiego di forme di lavoro definite “agili”, ossia caratterizzate da prestazioni rese da remoto, che sempre più spesso rispetto al passato sono svolte, occasionalmente o continuativamente, dall’estero. L’intensificarsi di tale fenomeno ha generato dubbi interpretativi in merito alle regole di tassazione applicabile ai redditi da lavoro.
In linea generale, va premesso che nonostante l’incremento esponenziale delle forme di lavoro definite “agili”, non sono state apportate modifiche alla normativa interna in materia di determinazione della residenza a fini fiscali. Di conseguenza, anche per i lavoratori in modalità Smart Working i criteri di radicamento della residenza fiscale delle persone fisiche restano quelli previsti, in generale, dall’articolo 2 del TUIR.
In base alle suddetta disposizione di legge si considerano residenti in Italia le persone fisiche che, per la maggior parte del periodo di imposta (ossia 183 giorni in un anno o 184 giorni in caso di anno bisestile): a) sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente; b) hanno nel territorio italiano il proprio domicilio (inteso come il luogo in cui la persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari); c) hanno nel territorio dello Stato italiano la propria residenza (intesa come dimora abituale). I suddetti criteri sono alternativi fra loro, nel senso che è sufficiente che ne ricorra uno per radicare la residenza fiscale in Italia.
Tali principi, laddove sussistenti, devono essere coordinati con le disposizioni contenute nelle convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia con i singoli Stati esteri, le quali – conformemente al modello di convenzione Ocse – stabiliscono dei criteri sussidiari per determinare la residenza fiscale in caso di conflitto tra giurisdizioni e, con specifico riferimento ai redditi da lavoro dipendente, prevedono in taluni casi una potestà impositiva concorrente tra Stato di residenza e Stato in è stata svolta l’attività lavorativa che ha prodotto il reddito.
Facendo applicazione dei principi generali si possono enucleare, a titolo esemplificativo, i seguenti esempi:
1) il cittadino italiano che abbia trasferito la residenza all’estero ed abbia in pari tempo provveduto ad iscriversi all’AIRE, che dal Paese estero dove risiede per la maggior parte del periodo di imposta renda le prestazioni per un datore di lavoro italiano è considerato fiscalmente residente all’estero, a prescindere dalla sede in Italia del datore di lavoro.
2) Tuttavia, se il suddetto cittadino italiano, nonostante si sia trasferito all’estero, avesse mantenuto l’iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente in Italia, egli continuerbbe a qualificarsi come fiscalmente residente in Italia in ragione del requisito anagrafico, anche qualora avesse trasferito all’estero il suo domicilio e la sua dimora abituale, con la conseguenza che dovrà sottoporre a tassazione i suoi redditi nello Stato italiano.
3) Parimenti, il cittadino italiano iscritto all’AIRE che abbia sottoscritto un contratto di lavoro con un datore estero nel quale sia indicata come sede ordinaria di lavoro il Paese risultante dall’iscrizione all’AIRE (o altro Stato estero), viene nondimeno considerato fiscalmente residente in Italia qualora ivi svolga la prestazione lavorativa in Smart Working per la maggior parte del periodo di imposta (183 giorni all’anno).
4) Si ipotizzi, ancora, il caso di un cittadino italiano che prima della pandemia da Covid-19 sia stato assunto da un datore di lavoro stabilita in uno Stato estero, dove ha provveduto a trasferire la residenza. In occasione dell’emergenza sanitaria, il lavoratore ha iniziato a fruire del lavoro agile, che ha svolto in Italia per sua scelta o per l’impossibilità di rientrare nello Stato estero a causa delle limitazioni alla circolazione dettate da ragioni sanitarie. Cessate le restrizioni alla circolazione, il lavoratore continua a svolgere comunque in Italia le sue prestazioni in smart working. In tal caso, prescindendo da qualunque valutazione sulla effettiva residenza del lavoratore, i redditi da quest’ultimo percepiti per il lavoro svolto da remoto nel territorio dello Stato, sia durante l’emergenza pandemica sia successivamente alla cessazione della crisi, sono imponibili in Italia.
5) Si ipotizzi, infine, il caso di un cittadino straniero, non iscritto nelle anagrafi della popolazione residente in Italia, che lavora dall’Italia in smart working, permanendo per la maggior parte dell’anno solare presso un’abitazione ubicata nel nostro Stato. In tale circostanza, sebbene non risulti soddisfatto il requisito
formale di iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente, il soggetto verrà considerato fiscalmente residente in Italia.
Con specifico riferimento al regime speciale previsto per i lavoratori “impatriati” (che ai sensi dell’art. 16 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147 presuppone il trasferimento della residenza in Italia da parte di un soggetto – cittadino italiano o straniero – che prima del suddetto trasferimento abbia mantenuto la residenza fiscale all’estero per minimo 24 mesi) è stato ritenuto che può accedervi anche il soggetto che trasferisce la propria residenza in Italia, pur continuando a lavorare in smart working alle dipendenze di un datore di lavoro estero. Al contrario, non potrà continuare a fruire dell’agevolazione in esame il soggetto che, trasferitosi a lavorare in Italia, successivamente traslochi all’estero pur continuando a svolgere dalla nuova località la propria prestazione lavorativa per il medesimo datore di lavoro italiano in modalità smart working, in quanto in tal caso i redditi si considerano prodotti fuori dal territorio italiano.
In conclusione, al di là delle specificità dei singoli casi (tali di per sé da richiedere una consulenza specialistica), in via generale è senz’altro opportuno che i datori di lavoro che consentono lo Smart Working dall’estero (c.d. Smart Working transfrontaliero) disciplino specificamente, mediante apposite policy e/o integrazioni di quelle esistenti, la fattispecie, tenendo in debita considerazione gli aspetti di fiscalità che possono derivare da tale forma di organizzazione del lavoro.

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