La valorizzazione in giurisprudenza della categoria legislativa dello stress lavoro-correlato

A cura di Mario Cammarata e Noemi Spoleti

La Corte di Cassazione con sentenza del 7 febbraio 2023 n. 3692 ha esaminato il caso di un dipendente amministrativo di un Ateneo pubblico che aveva dedotto, con riferimento a quanto qui di interesse, di essere stato vittima di comportamenti tali da integrare la fattispecie del mobbing da parte del datore di lavoro (nella specie, per quanto emerge dalla lettura del provvedimento, il lavoratore lamentava di essere stato demansionato, di aver subito un trasferimento ad altra sede ed altri non meglio specificati atteggiamenti datoriali espressione di una potestà disciplinare asseritamente “pretestuosa e vessatoria”), con conseguente richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale.

Sia il Tribunale in primo grado che la Corte d’Appello in secondo avevano rigettato la domanda di risarcimento del danno da mobbing, in quanto ritenuto insussistente.

Tuttavia, i giudici di merito avevano accertato l’avvenuto demansionamento del dipendente e solamente con riferimento a tale situazione avevano accertato che fosse provato e sussistente il danno biologico.

Nel cassare con rinvio la sentenza d’appello, i giudici di legittimità sottolineavano la necessità, definita “imprescindibile”, di analizzare attentamente tutto il complesso di atteggiamenti, pur in sé non illegittimi, tenuti dal datore di lavoro valutandoli alla luce dell’art. 2087 c.c. quale espressione dell’obbligo (anche) “di evitare lo svolgimento della prestazione con modalità ed in un contesto indebitamente “stressogeno””.

In particolare, così si è espressa la sentenza in commento, la cui lettura è di particolare interesse: “la Corte territoriale, ha accertato un grave e protratto demansionamento causativo di danno alla salute e, dunque, un inadempimento datoriale ad obblighi di appropriatezza nella gestione del personale, già rilevante ai sensi dell’art. 2087 c.c.; muovendo da ciò, è allora evidente che anche gli altri episodi denunciati, lungi dal poter essere negletti e sviliti ad episodi non denotanti, in sé, un intento persecutorio avrebbero dovuto necessariamente essere apprezzati nel quadro generale della vicenda lavorativa, al fine di valutare la complessiva legittimità o meno dei comportamenti datoriali anche rispetto all’obbligo (del pari riconducibile all’art. 2087 c.c.) di evitare lo svolgimento della prestazione con modalità ed in un contesto indebitamente “stressogeno”;

quello che andava indagato era l’esistenza di una situazione lavorativa conflittuale di stress forzato nella quale il R. avesse subito azioni ostili, anche se limitate nel numero e in parte distanziate nel tempo – quindi non rientranti, tout court, nei parametri tradizionali del mobbing – tali, comunque, da provocare una modificazione in negativo, costante e permanente, della situazione lavorativa, atta ad incidere sul suo diritto alla salute, costituzionalmente tutelato, essendo il datore di lavoro tenuto ad evitare, non solo il demansionamento ed ancor più, come nella specie, una privazione delle mansioni, ma anche situazioni “stressogene” che diano origine ad una condizione che, per caratteristiche, gravità, frustrazione personale o professionale, possa presuntivamente ricondurre a questa forma di danno, anche in caso di mancata prova di un preciso intento persecutorio (v. Cass. 19 febbraio 2016, n. 3291);

[…]

diviene imprescindibile, in quest’ottica, porre attenzione a tutti i comportamenti, anche in sé non illegittimi, ma tali da poter indurre disagi o stress, che si manifestino isolatamente o invece si connettano ad altri comportamenti inadempienti, contribuendo ad inasprirne gli effetti e la gravità del pregiudizio per la personalità e la salute latamente intesi”.

L’ordinanza in esame si conforma all’orientamento già espresso dalla Corte di Cassazione con due recenti pronunce della Sezione Lavoro – la n. 33428 dell’11 novembre 2022 e la n. 33639 del 15 novembre 2022 – che sembrano porsi nella direzione di un graduale abbandono delle tradizionali figure del mobbing e dello straining (di origine medico-legale) per valorizzare invece la fattispecie dello stress lavoro-correlato (di origine legislativa).

Questa pronuncia si distingue quindi per la capacità di superare il rigido inquadramento in termini di mobbing o straining, richiedendo un’analisi più ampia delle condizioni lavorative complessive che possano arrecare danno alla salute del dipendente, anche in assenza di reiterate vessazioni o di uno specifico intento persecutorio

Inoltre, riassumendo i principi stabiliti dalla giurisprudenza nelle sentenze citate si può affermare che si sta passando da un approccio individualistico, focalizzato principalmente sulla condotta del singolo soggetto, a una visione sistemica, incentrata sull’analisi degli aspetti organizzativi propri del contesto lavorativo, con particolare riguardo alla gestione dei fattori produttivi.

In questa nuova prospettiva “olistica”, dove interagiscono dinamicamente vari attori all’interno di un sistema complesso e strutturato, l’attenzione del giudice non è più rivolta esclusivamente alla valutazione quasi penale dei comportamenti individuali (come avveniva in passato nella ricerca dell’intenzionalità del soggetto), ma oggi si concentra soprattutto sugli aspetti legati alla colpa, ossia sulle mancanze rispetto agli standard organizzativi prescritti dalla legge, in particolare dall’art. 28, comma 1, del d.lgs. 81/2008 e dalla Circolare del Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali del 18 novembre 2010.

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