
A cura della Redazione Biblioteca
Una delle principali distorsioni a cui questa nostra epoca dominata da Google e dalla “rete” induce, soprattutto nei giovani cosiddetti “nativi digitali”, è l’idea che tutto quanto c’è da sapere si trovi online e che, dunque, tutto sia conoscibile e a portata di click. Quello che non è in internet, semplicemente, non esiste perché non compare tra i “risultati della ricerca” (è il famoso, a tratti deludente – quanto sempre più raro – not found). Il fatto, di per sé preoccupante perché apre una voragine oscura sul concetto stesso di competenza professionale, che risulta messo così pericolosamente in discussione, rende in realtà particolarmente avvincente il lavoro di chi è chiamato a fare “ricerca vera”, scientifica, in tutti gli ambiti dello scibile, dalle scienze dure agli studi umanistici.
Accade così che, quando una “vera scoperta” si verifica – e certo senza l’aiuto di Google – la gioia di chi lavora alacremente proprio a vantaggio della creazione di competenze reali (e non virtuali) sul campo sia doppio e per certi versi entusiasmante. Un caso recente, di ambito umanistico, è forse degno di essere raccontato.
Il fatto risale al 2012. Nel pomeriggio del 5 aprile di quell’anno, studiando un codice bizantino dell’XI secolo posseduto dalla Bayerische Staatsbibliothek di Monaco, il Monacense greco 314, la filologa italiana Marina Molin Pradel si è accorta che aveva tra le mani un vero e proprio tesoro. Il manoscritto conteneva infatti 29 omelie di Origene, figura fondamentale nella storia della cultura cristiana, autore di lavori sul testo biblico, di commenti e scritti teologici. Vissuto tra II e III secolo d.C., originario di Alessandria d’Egitto, Origene fu scrittore in lingua greca, ma gran parte della sua produzione originale andò perduta sia per la sua grande estensione – che, in mancanza della tecnologia tipografica ne rendeva difficile la trasmissione ai secoli successivi – sia per la condanna che l’autore subì nel 553 da parte del concilio ecumenico costantinopolitano, che per un periodo gli fece subire una sorta di damnatio memoriae. Data però l’importanza dei contenuti, una parte dei suoi testi si conservò comunque grazie alle traduzioni in latino che ne vennero fatte successivamente. Particolarmente importante fu la sua opera di interpretazione dei Salmi in forma di omelie e commenti, a noi nota fino al 5 aprile 2012 solo attraverso la traduzione dell’autore latino Rufino di Aquileia, realizzata all’inizio del V secolo. E proprio questi testi sono conservati nel manoscritto di Monaco.
La scoperta di Molin Pradel, definita dagli studiosi di storia cristiana la “scoperta del secolo”, è stata possibile grazie alla competenza della studiosa. Quei testi di Origine erano totalmente sconosciuti (e certamente non rintracciabili su Google), ma potevano essere intuiti da chi avesse studiato per anni la storia della trasmissione delle opere cristiane. Questa scoperta restituisce all’Occidente un pezzo consistente della sua identità culturale, offrendo la possibilità di leggere nell’originale greco il testo del commento di Origine ai Salmi e di valutare meglio sia la traduzione latina di cui disponiamo (e capire quanto sia fedele quella che continuiamo a usare per le altre opere perdute) sia la testimonianza di quei molti autori che Origine influenzò direttamente.