La Corte Costituzionale riconosce il diritto alla genitorialità della madre intenzionale: le ricadute sul lavoro e sul welfare aziendale

La Corte Costituzionale riconosce il diritto alla genitorialità della madre intenzionale: le ricadute sul lavoro e sul welfare aziendale

Condividiamo l’approfondimento dell’Avv. Mariapaola Rovetta Arici, pubblicato su NT+ Lavoro – IlSole24Ore che, alla luce della sentenza n. 68 del 22 maggio 2025 della Corte Costituzionale, analizza i contenuti e le implicazioni della stessa, con particolare attenzione al riconoscimento giuridico del genitore “intenzionale” e all’impatto che essa potrebbe avere non solo sul piano civile, ma anche in ambito lavorativo e sociale, evidenziando come le imprese possano giocare un ruolo chiave nel garantire diritti e pari dignità ai nuovi modelli familiari.


Con la sentenza n. 68 del 22 maggio 2025, la Corte Costituzionale è intervenuta per colmare un vuoto normativo, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 8 della Legge 40/2004 nella parte in cui nulla prevede in merito alle sorti degli atti di nascita dei bambini nati in Italia mediante tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA) praticate all’estero e vietate nel nostro Paese. La decisione segna un punto di svolta nella tutela delle famiglie omogenitoriali, in particolare delle coppie di donne, riconoscendo l’esigenza di proteggere l’interesse del minore e la sua piena appartenenza alla famiglia che lo ha voluto e che ha manifestato l’intenzione di volerlo crescere e curare.

La Consulta ha ribadito che il solo legame biologico non è più sufficiente a definire la genitorialità, soprattutto laddove esista un progetto condiviso e stabile. In questo contesto, già nel 2019 era stata enucleata per la prima volta, sempre dalla Corte Costituzionale, la figura del genitore cd. “intenzionale”, ossia del partner di una coppia omosessuale che ha condiviso il progetto di genitorialità con l’altro partner, pur senza fornire il proprio apporto genetico alla procreazione. Con la sentenza n. 68 del 2025 la Consulta, ancora una volta, ha riconosciuto la figura della madre cd. “intenzionale”.

Negare il riconoscimento giuridico di questo legame — secondo la Corte — rappresenta una violazione degli articoli 2, 3 e 30 della Costituzione, perché discrimina i minori e li priva di tutele fondamentali in ambiti quali la salute, l’istruzione, la successione e la continuità affettiva.

La Corte ha poi rimandato al Parlamento il compito di legiferare in materia, sollecitando un intervento che garantisca, in modo esplicito e tutelante, il diritto dei bambini ad avere entrambi i genitori, anche all’interno di famiglie omogenitoriali.

Le implicazioni non si fermano al solo ambito civilistico: il mondo del lavoro, infatti, si trova già oggi a confrontarsi con questa nuova realtà. In assenza di una norma, le aziende non hanno obbligo di riconoscere al genitore intenzionale i diritti previsti dal D.Lgs. 151/2001, come congedi parentali o permessi per malattia del figlio. Tuttavia, alcuni Giudici del lavoro hanno iniziato a estendere queste tutele anche alla figura della madre “intenzionale”, qualificando come discriminatoria la condotta dei datori di lavoro che le negano.

In almeno un caso, infatti, la Corte d’Appello ha confermato la sentenza di primo grado con cui era stato ordinato all’azienda di riconoscere i permessi per malattia del figlio ed era stata anche condannata al risarcimento dei danni per condotta discriminatoria.

Da ultimo, il 21 luglio 2025, la Corte Costituzionale è tornata sul tema ed ha dichiarato illegittimo l’art. 27 – bis del D. Lgs. N. 151 del 2001, laddove non riconosce il congedo di paternità obbligatorio ad una lavoratrice, genitore intenzionale in una coppia di donne risultanti genitori nel Registro dello Stato Civile.

Si apre così un nuovo capitolo in cui, in assenza di un intervento legislativo, potrebbero e dovrebbero essere le imprese — nell’ambito delle loro politiche di welfare aziendale — a farsi carico di garantire tutele aggiuntive, promuovendo l’eguaglianza sostanziale e la centralità del superiore interesse del minore.

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