A cura di Bonaventura Minutolo
Danni da tardiva diagnosi: valutazione equitativa ex art. 1226 c.c. L’interessante vicenda esaminata dalla sentenza in epigrafe ha condotto ad un ridimensionamento del danno parentale e/o riflesso nella particolare fattispecie attinente alla mancata, corretta diagnosi tumorale, alla quale si è rimediato in un secondo tempo, ma che ha visto – comunque – il decesso del paziente. In linea di fatto la Corte di legittimità ha confermato la decisione della Corte di merito che – in sede di rinvio e, quindi, dopo l’annullamento della sua precedente decisione, riduceva l’importo risarcitorio riconosciuto ai parenti dei defunti in base al principio secondo cui il danno derivante da errata diagnosi, escludendo – ex se – quello riferito alle (inesistenti) perdite di chances (vale a dire di prospettive di concreto avanzamento delle proprie condizioni patrimoniali, e/o professionali) poteva (e doveva) essere determinato solo in base ai criteri di cui all’art. 1226 c.c. (cfr. Cass. 15.4.2019 n. 10424) e – quindi – su basi equitative), vale a dire considerando le serie compromissioni di una vita serena, tanto che l’esito finale può spesso ritenersi liberatorio dei patemi d’animo e sofferenze. Paradossalmente, l’errore in questione, se pur non incidente sull’evoluzione del male, ha persino giovato al paziente, perché la mancata coscienza del male ha – in qualche modo – contenuto le sue sofferenze psichiche. La riduzione del quantum (risarcimento), in un primo tempo riconosciuto ai parenti, è – dunque – strettamente collegato all’unico criterio di valutazione riconosciuto possibile per questo tipo di danno.