Le novità introdotte dal “Collegato Lavoro” (Legge n. 204/2024): la disciplina delle dimissioni per fatti concludenti e la stretta del governo sulle assenze “ingiustificate” dei lavoratori

Le novità introdotte dal “Collegato Lavoro” (Legge n. 204/2024): la disciplina delle dimissioni per fatti concludenti e la stretta del governo sulle assenze “ingiustificate” dei lavoratori

A cura di Valentina Ruzzenenti

Tra le novità introdotte dalla Legge n. 203/2024, entrata in vigore il 12 gennaio u.s. (c.d. “Collegato lavoro”), vi è sicuramente quella inerente la disciplina delle dimissioni.

Ed invero, all’art. 19 è stato previsto che, in caso di assenze ingiustificate del lavoratore protratte oltre i termini previsti dal contratto collettivo o, in mancanza di previsione contrattuale, oltre il termine di 15 giorni, il rapporto di lavoro si intende risolto per volontà del lavoratore.

Lo scopo di tale previsione è piuttosto chiaro, e cioè: contrastare la prassi diffusasi -in particolar modo negli ultimi anni- da parte dei lavoratori, di protrarre la propria assenza dal lavoro senza fornire alcuna giustificazione, per far sì che il datore fosse “costretto” a procedere al licenziamento (appunto, per assenza ingiustificata).

Tale condotta risultava particolarmente conveniente, in quanto permetteva al lavoratore di accedere ai benefici della Naspi, mentre il datore di lavoro doveva versare all’INPS il c.d.  ticket di licenziamento.

Prima dell’intervento del legislatore, la giurisprudenza era intervenuta in alcune pronunce, qualificando l’assenza ingiustificata del dipendente (laddove assai prolungata), come dimissioni e/o risoluzione consensuale del rapporto di lavoro (cfr. Trib. Udine 27/5/2022 e Trib. Monza 2/4/2019).

Sulla scia dell’orientamento giurisprudenziale sopra ricordato, il Legislatore è quindi intervenuto introducendo l’istituto delle dimissioni per fatti concludenti, da ravvisarsi appunto nei casi di assenza prolungata oltre il termine contrattualmente previsto ovvero dopo i 15 giorni.

Le uniche eccezioni alla risoluzione automatica del rapporto di lavoro sono previste nel caso in cui il lavoratore dimostri la propria effettiva impossibilità a comunicare le ragioni della propria assenza, ovvero per fatti imputabili al datore di lavoro.

Un’ulteriore importante novità di tale disciplina è rappresentata dal fatto che, in tale ipotesi, non è necessario applicare la procedura telematica di “convalida” previsto dall’art. 26 del D.Lgs. 151/2015 (che, come noto, subordina l’efficacia delle dimissioni e delle risoluzioni consensuali alla compilazione di “appositi moduli”, con possibilità di revoca entro 7 giorni dalla loro trasmissione) e con essa viene meno anche la facoltà di revoca (salvo che, come già detto,  non si dimostri l’impossibilità di comunicare il motivo dell’assenza per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro).

Inoltre, il datore di lavoro risulta esentato dal pagamento del c.d. ticket di licenziamento così come dell’indennità sostitutiva del preavviso.

Resta, però, in capo al datore di lavoro l’obbligo di comunicare l’assenza del lavoratore all’Ispettorato del Lavoro competente per territorio, al fine di verificarne la veridicità; non si comprende, però, come verranno effettuati tali accertamenti da parte dell’Ispettorato del Lavoro.

Un ulteriore dubbio, che dovrà necessariamente essere chiarito al più presto da parte del medesimo Ispettorato, è quello che riguarda la particolare situazione della lavoratrice madre.

In assenza di deroghe al riguardo, si presume, infatti, che debba considerarsi ancora necessaria la convalida delle dimissioni della lavoratrice madre fino al compimento del terzo anno di età del bambino, a pena di inefficacia delle stesse e/o della risoluzione consensuale del rapporto di lavoro.

Tuttavia, resta da chiarire se lo stato di gravidanza e/o di maternità della lavoratrice possa costituire un valido motivo di assenza e/o di impossibilità a giustificare la stessa, così come un eventuale comportamento coattivo da parte del datore di lavoro possa essere tale da impedire che il comportamento per fatti concludenti dell’assenza produca l’automatica risoluzione legittima del rapporto di lavoro.

Ed ancora, non si comprende come si dovrà comportare l’azienda che applica diversi contratti collettivi, che prevedono periodi di assenza differenti tra loro: anche su tale specifico aspetto si auspica un intervento chiarificatore da parte dell’Ispettorato del lavoro.

Infine, un ulteriore aspetto problematico ravvisabile nella nuova disposizione legislativa riguarda l’ipotesi in cui il datore di lavoro, in presenza di una situazione quale quella sopra descritta, anziché considerare risolto il rapporto per dimissioni tacite del lavoratore, proceda al suo licenziamento per assenza ingiustificata (come in precedenza), garantendogli così l’accesso alla NASPI.

Ci si chiede, infatti, se in tale ipotesi l’INPS possa comunque ritenere risolto il rapporto di lavoro per dimissioni tacite anziché per licenziamento, sovrapponendosi alla decisione datoriale e quindi, di fatto, disconoscendo il recesso stesso (con ciò impedendo anche il riconoscimento al lavoratore dell’indennità di disoccupazione).

Come si vede, quindi, sebbene la finalità sottesa dalla nuova disposizione sia – all’evidenza- quella di evitare abusi nell’utilizzo della disciplina al fine di fruire dei benefici economici di Stato, tuttavia pare potenzialmente tale da creare molteplici dubbi interpretativi, quantomeno fino a quando non arriveranno i necessari chiarimenti operativi.

 

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