
A cura di Claudio Ponari
Il decreto legislativo 13 settembre 2024 n. 136, pubblicato in G.U. 27 settembre 2024, cd. correttivo – ter al codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (di seguito, il “CCII”) di cui al d.lgs 12 gennaio 2019, n. 14 (di seguito, “il Correttivo- ter”) è nuovamente intervenuto sul CCII, apportando modifiche ed integrazioni al precedente testo normativo che riguardano i rapporti di lavoro.
Nello specifico, la gestione dei rapporti di lavoro in costanza di liquidazione giudiziale è stata oggetto di un articolato intervento con la tecnica della novellazione delle disposizioni originariamente dettate dall’art. 189 CCII.
Più precisamente, l’art. 32 ha apportato modifiche alla Parte prima, Titolo V, Capo I, Sezione V del d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, intervenendo significativamente sul disposto dell’art. 189 del CCII che regolamenta la gestione dei rapporti di lavoro subordinato nell’ambito della procedura di liquidazione giudiziale.
Infatti, il primo comma dell’art. 189 che, nel testo scaturito dopo le modifiche, dispone: “i rapporti di lavoro subordinato in atto alla data della sentenza dichiarativa sono sospesi fino a quando il curatore, previa autorizzazione del giudice delegato e sentito il comitato dei creditori, comunica ai lavoratori di subentrarvi, assumendo i relativi obblighi, ovvero il recesso” è stato modificato nel senso che è stato soppresso l’incipit, che echeggiava il precedente disposto dell’art. 2119 c.c., secondo cui “l’apertura della liquidazione giudiziale nei confronti del datore di lavoro non costituisce motivo di licenziamento” oggi non più previsto.
La modifica non ha ricadute concrete: la disciplina dei rapporti di lavoro in essere alla data della sentenza che dichiara l’apertura della liquidazione giudiziale esclude comunque che gli stessi possano essere risolti per il solo fatto che sia intervenuta la sentenza. L’unico effetto è costituito dalla sospensione di tali rapporti; è ragionevole ritenere che l’intento del legislatore sia stato quello di eliminare una previsione ormai superflua e potenzialmente contradditoria, specie alla luce del nuovo testo dell’art 2119, comma 2 c.c., che, a seguito delle modifiche apportate dal CCII, si limita ad operare un rinvio al codice della crisi di impresa e dell’insolvenza senz’altro addurre.
È stato modificato, altresì, il comma 2 dell’art. 189, essendo stato escluso l’obbligo di comunicazione all’ITL (Ispettorato del Lavoro) dell’elenco dei dipendenti in forza al momento della procedura di liquidazione giudiziale. Infatti, prima del Correttivo ter, la norma prevedeva che il curatore fosse obbligato a trasmettere, entro trenta giorni dalla nomina, all’ITL l’elenco dei dipendenti dell’impresa in forza al momento dell’apertura della liquidazione con una previsione che si spiegava in funzione della volontà di coinvolgere detto organo nella gestione dei rapporti di lavoro del personale dell’impresa in liquidazione, che, tuttavia, non aveva alcuna utilità pratica (le ITL non sono infatti in grado di svolgere tale attività).
Il Legislatore, preso atto dell’inutilità di detta previsione, ha inteso snellire gli adempimenti a carico del curatore nelle fasi iniziali del procedimento di liquidazione giudiziale, ridimensionando il ruolo dell’Ispettorato del Lavoro ed eliminando un’attività potenzialmente ridondante rispetto alle comunicazioni dovute nell’ambito della procedura di licenziamento collettivo. Tale modifica appare opportuna tanto più che non è affatto infrequente che il curatore nemmeno disponga di tali informazioni, nei non rari casi in cui la liquidazione riguardi imprese prive di una contabilità aggiornata e/o attendibile e/o affidate ad amministratori di facciata (prestanome).
Conseguentemente, il nuovo testo del comma 2 si limita a prevedere che “il recesso del curatore dai rapporti di lavoro subordinato sospesi ai sensi del comma 1 ha effetto dalla data di apertura della liquidazione giudiziale. Il subentro del curatore nei rapporti di lavoro subordinato sospesi decorre dalla comunicazione dal medesimo effettuata ai lavoratori”.
Il portato della norma è chiarissimo: risulta confermato che dopo la liquidazione giudiziale non v’è alcun automatismo. I rapporti di lavoro non proseguono automaticamente, ma rimangono sospesi, per un periodo che, di regola, può durare sino a quattro mesi, salvo diversa decisione del curatore. La sospensione non determina alcuna conseguenza per il rapporto di lavoro nel senso che i lavoratori non prestano servizio attivo, né maturano diritti retributivi e/o contributivi.
È stato, invece, oggetto di un intervento più significativo il comma 3 dell’art. 189; prima del Correttivo ter, questa norma prevedeva che, durante il periodo della sospensione temporanea dei rapporti di lavoro, conseguente alla dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale, il curatore dovesse procedere “senza indugio” alla cessazione dei rapporti stessi, con l’autorizzazione del giudice delegato, in presenza di specifiche ipotesi e cioè: i) impossibilità di “continuazione o trasferimento di azienda o di un suo ramo” ; ii) assenza di prospettive per la continuazione dell’attività e iii) “sussistenza di manifeste ragioni economiche inerenti l’assetto dell’organizzazione del lavoro”. La norma, quindi, attribuiva al curatore la responsabilità di compiere nell’immediatezza dell’apertura della procedura scelte direttamente impattanti sui rapporti di lavoro.
Ora, la nuova versione del comma 3, attenua tale responsabilità, lasciando meno spazio a valutazioni del curatore che è ora tenuto a comunicare per iscritto il recesso dal rapporto di lavoro tutte le volte in cui non sia stata disposta, né autorizzata la prosecuzione dell’esercizio di impresa, o vi sia l’impossibilità di operare un trasferimento d’azienda o di un suo ramo.
Il nuovo testo del comma 3, infatti, così dispone: “quando non è disposta né autorizzata la prosecuzione dell’esercizio dell’impresa e non è possibile il trasferimento dell’azienda o di un suo ramo, il curatore comunica per iscritto il recesso dai relativi rapporti di lavoro subordinato. In ogni caso, salvo quanto disposto dal comma 4, decorso il termine di quattro mesi dalla data di apertura della liquidazione giudiziale senza che il curatore abbia comunicato il subentro, i rapporti di lavoro subordinato in essere cessano con decorrenza dalla data di apertura della liquidazione giudiziale, salvo quanto previsto dal comma 4. In caso di cessazione del rapporto di lavoro ai sensi del presente articolo non è dovuta dal lavoratore la restituzione delle somme eventualmente ricevute, a titolo assistenziale o previdenziale, nel periodo di sospensione”.
In realtà, da un punto di vista concreto non cambia molto rispetto alla precedente normativa: la regolamentazione del recesso del curatore in costanza di periodo di sospensione resta, infatti, teleologicamente collegata alla previsione dell’art. 241 del CCII che, come noto, impone al curatore di procedere alla liquidazione dei singoli beni (concetto che implica la dissoluzione dell’impresa e i conseguenti licenziamenti) laddove “risult(i) prevedibile che la vendita dell’intero complesso aziendale, dei suoi rami o rapporti giuridici individuabili in blocco non consenta una maggiore soddisfazione dei creditori”; se ne deduce che il curatore deve procedere al licenziamento tutte le volte in cui non vi sia la possibilità di una migliore soddisfazione dei creditori (ivi compresi i lavoratori che tra essi hanno, notoriamente, una collocazione “privilegiata”) attraverso un trasferimento dell’attività o di un suo ramo e non vi siano prospettive per la continuazione dell’attività (come prescritto dall’art. 211 CCII che consente la prosecuzione dell’attività solo laddove essa non arrechi pregiudizio ai creditori).
La norma ha anche ribadito – sia pure riformulando il testo – il principio, già presente nella versione precedente, secondo cui “decorso il termine di quattro mesi senza che il curatore abbia comunicato il subentro (o il recesso ai sensi del comma 2) i rapporti di lavoro subordinato in essere cessano con decorrenza dalla data di apertura della liquidazione giudiziale”, così confermando il principio, rispondente ad un’esigenza di certezza del diritto, che, in assenza di subentro, i rapporti di lavoro cessano automaticamente e con effetto a decorrere dalla dichiarazione di apertura della procedura di liquidazione giudiziale.
La nuova formulazione si discosta nella forma dalla precedente, dal momento che non compare più il riferimento alla risoluzione di diritto, ma non nella sostanza, restando confermato che, così come per il caso di recesso disposto nelle more del periodo di sospensione, anche nel caso di mera decorrenza del tempo i rapporti cessano con effetto dalla data di apertura della procedura di liquidazione, in modo da evitare che l’inerzia del curatore possa andare a detrimento degli altri creditori (diversi dai lavoratori).
La norma contiene, infine, una previsione di chiusura, prevedendo che i lavoratori non siano tenuti a restituire le somme che abbiano eventualmente ricevuto nel periodo di sospensione a titolo previdenziale ed assistenziale. Tale previsione sembra mirata a evitare che la specialità della disciplina, che prevede la retroattività della cessazione del rapporto alla data di apertura della procedura, si traduca in un danno per i lavoratori, i quali conservano gli eventuali trattamenti previdenziali ed assistenziali (ad esempio il trattamento di cigs) di cui i medesimi stavano beneficiando e pare mirata a controbilanciare la perdita dell’indennizzo precedentemente previsto dal quarto comma dell’art. 189 (v. infra).
Il comma 4 dell’art. 189 è stato parimenti modificato; è stato previsto che il termine di sospensione dei rapporti di lavoro possa essere prorogato fino ad un massimo di otto mesi, ove così stabilito dal giudice delegato, nel caso in cui, previa richiesta del curatore, sussistano elementi concreti per l’autorizzazione all’esercizio dell’impresa o per il trasferimento dell’azienda o di un suo ramo; con questa previsione il legislatore ha inteso attribuire al curatore un tempo più ampio, ma comunque limitato, per porre in essere le attività (ad esempio per organizzare una cessione di ramo d’azienda) convenienti per i creditori, senza oneri a carico della massa.
Infatti, è stata soppressa la previsione, contenuta nella precedente versione di questa norma, che garantiva ai dipendenti che restavano in attesa di conoscere il destino del proprio rapporto di lavoro una tutela concreta, corrispondente ad un’indennità pari ad almeno due mensilità calcolate in base ai parametri utili per la valutazione del TFR. L’attuale lettera della norma ha eliminato tale previsione tout court, senza prevedere alcuna sostituzione del supporto inizialmente definito.
Detta modifica si spiega sia per ragioni teoriche – intendendo il legislatore attribuire maggior peso alla regola della par condicio rispetto alle esigenze di tutela dei lavoratori –, sia per ragioni pratiche dal momento che tale facoltà non risulta aver avuto applicazione concreta visto che, così come formulata, introduceva un debito della massa da pagarsi in prededuzione, come si evinceva dall’inciso “..che è ammessa al passivo come credito successivo all’apertura della liquidazione giudiziale” , presente nella precedente versione della norma.
Infatti, tale previsione responsabilizzava il curatore e il giudice delegato, introducendo un vantaggio per i lavoratori rispetto agli altri creditori in distorsione della par condicio in assenza di prestazione.
L’indennità in questione non poteva, infatti, essere considerata come un trattamento retributivo visto che, come rilevato da attenti commentatori, “l’ “indennità” prevista nell’ultimo periodo del quarto comma dell’art. 189, pur essendo considerata un costo della procedura (in quanto “è ammessa al passivo come credito successivo all’apertura della liquidazione giudiziale”), non è collegata al rapporto di lavoro né funzionalmente (in quanto il rapporto degli aventi diritto è “sospeso”) e neppure geneticamente (in quanto l’erogazione dell’indennità opera proprio nel presupposto che il curatore non sia subentrato nella titolarità del rapporto stesso). Tant’è che viene espressamente escluso il suo assoggettamento a contribuzione previdenziale”.
Appare, inoltre, ancora più rilevante la mancata conferma di tale indennizzo se si considera che nella versione originaria della norma la proroga del termine era efficace soltanto nei confronti dei lavoratori che ne avessero fatto richiesta, laddove con il Correttivo ter, invece, è stata generalizzata, essendo sufficiente che un solo lavoratore proponga l’istanza di proroga della sospensione, perché la stessa – ove accolta – trovi applicazione nei confronti di tutti i lavoratori dell’impresa in liquidazione giudiziale.
Infine, merita certamente di essere segnalato come il nuovo testo del quarto comma, nel regolare cosa accade in caso di mancato subentro della procedura nei rapporti di lavoro (anche) entro il termine prorogato, prevedendo la cessazione “automatica” dei rapporti con effetto dalla data di apertura della procedura, abbia anche eliminato l’inciso “salvo quanto previsto…dal comma 6”, presente nella precedente versione della norma.
Tale previsione è sicuramente significativa, perché lascia sottendere che questa fattispecie di cessazione del rapporto di lavoro sia speciale rispetto alle analoghe previsioni vigenti per le imprese in bonis, derogando alla disciplina limitativa dei licenziamenti sia in ambito individuale che collettivo (queste ultime regolate dal comma 6 della stessa norma), con l’importante conseguenza di ritenere possibile la risoluzione di diritto (automatica) senza necessità di implementare la procedura di licenziamento collettivo (su cui torneremo di seguito). E’ rimasta, invece, inalterata la previsione contenuta nel comma 9 dell’art. 189 secondo cui “in ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro ai sensi del presente articolo, spetta al lavoratore con rapporto a tempo indeterminato l’indennità di mancato preavviso che, ai fini dell’ammissione al passivo è considerata, unitamente al trattamento di fine rapporto, come credito anteriore all’apertura della liquidazione giudiziale” (ergo: credito privilegiato, ma non prededucibile).
Il nuovo testo del quarto comma dell’art. 189, pertanto, a seguito delle modifiche apportate dal Correttivo ter, così dispone: “Il curatore può chiedere al giudice delegato la proroga del termine di cui al comma 3, se sussistono elementi concreti per l’autorizzazione all’esercizio dell’impresa o per il trasferimento dell’azienda o di un suo ramo. Analoga istanza può in ogni caso essere presentata, personalmente o a mezzo di difensore munito di procura dallo stesso autenticata, anche dai singoli lavoratori; l’istanza del lavoratore deve contenere l’elezione di domicilio o l’indicazione di un indirizzo di posta elettronica certificata ove ricevere le comunicazioni. Il giudice delegato può assegnare al curatore un termine non superiore a otto mesi per assumere le proprie determinazioni. Il termine così concesso decorre dalla data di deposito del provvedimento del giudice delegato, che è immediatamente comunicato al curatore e agli eventuali altri istanti. Qualora nel termine così prorogato il curatore non procede al subentro o al recesso, si applica il comma 3, secondo e terzo periodo”.
Il quinto comma dell’art. 189, che regola le ipotesi di dimissioni del lavoratore successive all’apertura della procedura di liquidazione giudiziale e precedenti l’ipotesi del licenziamento/subentro del curatore, non è stato modificato. Pertanto, resta confermata la disciplina secondo cui si presumono rassegnate per giusta causa e efficaci sin dalla data di apertura della liquidazione giudiziale le dimissioni che siano state presentate nel periodo di sospensione, mentre non opera tale presunzione nel caso in cui il lavoratore dimissionario sia stato ammesso a beneficiare, durante il periodo di sospensione del rapporto di lavoro, dei trattamenti di CIG, ordinaria o straordinaria, o “ad altre prestazioni di sostegno del reddito”.
Parimenti non sono state oggetto di modifica le previsioni contenute nel comma 6 dell’art. 189 che regolamentano la speciale procedura di licenziamento collettivo che, com’è noto, prevede una semplificazione degli adempimenti a carico del curatore, mediante l’assorbimento in un’unica fase delle due (sindacale ed amministrativa) previste dalla disciplina generale.
La vera modifica approntata dal Correttivo ter in punto è costituita dal rovesciamento del rapporto regola ed eccezione presente nella precedente versione; l’eliminazione dell’inciso “fatto salvo quanto previsto dal comma 6”, presente nella precedente versione del comma 3 dell’art. 189, di cui si è detto innanzi, porta a ritenere che mentre precedentemente il curatore fosse di regola tenuto a procedere ai licenziamenti collettivi, attuando la procedura semplificata di cui al comma 6, nella versione attuale non vi sia un siffatto obbligo. Nella nuova disciplina il curatore è libero di procedere con tale procedura qualora “intenda procedere a licenziamento collettivo secondo le previsioni di cui agli art. 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223”, senza esservi però obbligato, dal momento che, scaduti i 4 mesi dall’apertura della procedura di liquidazione giudiziale, senza che sia stata attivata la procedura di licenziamento collettivo, tutti i rapporti di lavoro cessano egualmente e con effetto dalla data di apertura (senza oneri per la massa). Tale previsione sembra presentare elementi di criticità perché pare porsi in contrasto con la direttiva UE in materia di licenziamenti collettivi ed è agevole ipotizzare che il testo possa essere nuovamente modificato su questo aspetto.
È stato infine modificato il comma 7: la nuova versione del comma in argomento prevede che, nel caso in cui il curatore decida di procedere a un licenziamento collettivo secondo la procedura definita dal comma 6 stesso, non trovi, comunque, applicazione la normativa c.d. “antidelocalizzazioni” e cioè la disciplina che impone al datore di lavoro che abbia impiegato, nell’anno precedente, una media di 250 dipendenti, un obbligo di comunicazione alle rappresentanze sindacali competenti della propria intenzione di procedere alla cessazione definitiva dell’attività di una propria sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo che comporti il licenziamento di almeno 50 addetti; ciò all’evidente fine di non gravare, per un verso, il curatore di oneri supplementari di scarsa utilità e, per altro verso, di non rallentare la liquidazione.
In conclusione, tutte le modifiche apportate dal Correttivo – ter sembrano mirate a semplificare l’iter procedurale imposto dalla precedente versione della normativa in esame al curatore e al giudice delegato coinvolti nella gestione dei rapporti di lavori dell’impresa in crisi e, nel contempo, ad offrire maggiori certezze.
Inoltre, sembra parimenti evidente che il legislatore abbia inteso privilegiare l’impostazione “concorsualistica”, anteponendo gli interessi del concorso (che vede comunque i lavoratori in posizione privilegiata) rispetto a quelli dei lavoratori i cui diritti risultano essere compressi rispetto alla precedente versione del CCII.
Pur apprezzandosi la concretezza del legislatore e l’impianto di rigoroso rispetto delle regole della par condicio resta tuttavia il sospetto che la previsione che consente l’esclusione della necessità di implementare la procedura di licenziamento possa essere ritenuta non in linea con il diritto dell’Unione Europea e conseguentemente richiedere un ulteriore intervento normativo.