A cura di Tiziano Feriani
La Corte d’appello territoriale, confermando la sentenza di primo grado, accertava la legittimità del licenziamento per giusta causa irrogato al responsabile di un punto vendita di una Società, il quale, un giorno, aveva ritardato la ripresa del lavoro dopo la pausa pranzo e, il giorno successivo, non si era presentato in servizio, senza fornire alcun preavviso.
Il predetto dipendente impugnava tale pronuncia innanzi al Supremo Collegio, sostenendo che la propria condotta non fosse così grave da giustificare un licenziamento in tronco, con la conseguenza che quest’ultimo risultava, a suo dire, quantomeno illegittimo perché sproporzionato.
A preteso sostegno della propria tesi, il lavoratore rilevava che lo stesso CCNL del Terziario applicato in azienda prevedeva l’applicazione di una mera sanzione conservativa per il caso di assenza ingiustificata.
Peraltro, con ordinanza 28 novembre 2024 n. 30613, la Corte di Cassazione respingeva il ricorso proposto dal succitato dipendente, confermando integralmente la sentenza d’appello.
In proposito, il Supremo Collegio evidenziava che la sanzione espulsiva irrogata al lavoratore era pienamente legittima, anche sotto il profilo della proporzionalità, alla luce della condotta complessiva da lui tenuta nei confronti dell’azienda.
Sotto quest’ultimo profilo, risultava dirimente il fatto che, nel corso del giudizio, era stato provato che il dipendente aveva telefonato al proprio responsabile, adducendo falsamente – a giustificazione della dedotta impossibilità di recarsi al lavoro – pretesi (e, in realtà, insussistenti) sopravvenuti impedimenti legati alla salute del coniuge e rassicurandolo, comunque, sulla possibilità di recarsi al lavoro in caso di necessità (lasciandogli, quindi, intendere di trovarsi in città), circostanza anch’essa invece inveritiera, considerato egli aveva preso l’aereo la sera precedente e, quindi, si trovava in altra località, distante oltre 600 km. di distanza dal luogo di lavoro.
Pertanto, alla luce di quanto sopra, era evidente che il lavoratore non si era limitato ad assentarsi ingiustificatamente dal lavoro, ma aveva posto in essere, con dolo, una condotta “truffaldina” per indurre in errore la Società, abusando della sua fiducia.
Tale condotta del dipendente in questione era senz’altro connotata da maggiore gravità oggettiva e soggettiva rispetto alla mera assenza ingiustificata e integrava gli estremi della giusta causa di recesso, tenuto anche conto che egli ricopriva un ruolo apicale presso il punto vendita e che, quindi, al medesimo l’azienda riconosceva ampia autonomia e responsabilità, confidando nella sua correttezza e buona fede.
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