Contratto di solidarietà nel rapporto di lavoro pubblico

Contratto di solidarietà nel rapporto di lavoro pubblico

A cura di Anna Maria Corna

La vicenda riguarda un piccolo, ma noto, Comune, che, per far fronte ad una situazione di grave disequilibrio finanziario e di esubero di personale, aveva avviato la procedura di cui all’art. 33 del D. Leg. n. 165/2001 (TU sul pubblico impiego), che, in modo abbastanza simile (ma per alcuni aspetti anche molto diverso) agli art. 4 e 24 della L. n. 223/1991, disciplina la riduzione del personale, prevedendo, peraltro, una messa in disponibilità (con possibilità di passare, nel frattempo, presso altre amministrazioni) di due anni prima della risoluzione del rapporto di lavoro.
Considerato l’elevato numero di dipendenti e le retribuzioni ben sopra la media (per particolari indennità specifiche di questo Comune) l’allora Amministrazione Comunale ha proposto, fin da subito, alle OO.SS.LL. un accordo che prevedesse una riduzione dell’orario di lavoro del 10%, con conseguente analoga riduzione della retribuzione, per tutti i dipendenti, onde evitare una significativa riduzione del personale, anticipando in via unilaterale tale provvedimento (per 5 mesi), per poi pervenire, dopo una lunga trattativa, ad un Accordo sindacale che ratificava tale scelta del Comune e la confermava (seppur in percentuale un po’ più ridotta) per i due anni successivi; Accordo poi ratificato anche con determina del Comune.
Alcuni dipendenti hanno impugnato tutte le determine e il predetto Accordo, sostenendone l’illegittimità per vari motivi e il Tribunale, in primo grado, ha accolto le domande.
La Corte d’Appello di Milano ha, invece, integralmente riformato la sentenza, seguendo le tesi del Comune – difeso dallo Studio e dallo Studio Sica – confermando la legittimità di un Accordo sindacale di solidarietà, espressamente previsto dall’art. 33 del D. Leg. n. 165/2001, nonchè dichiarando legittima la procedura, così come attuata dal Comune.
Giunti in Cassazione, la Suprema Cort, con sentenza n. 16036/2024 pur non riconoscendo un effetto retroattivo dell’accordo sindacale (per i 5 mesi inizialmente disposti in via unilaterale dal Comune), ha comunque dichiarato la validità dell’Accordo ed erga omnes.
La pronuncia è di particolare interesse in quanto la Corte, fermi alcuni principi generali, si è pronunciata su una materia di cui non constano precedenti.
La Suprema Corte, premesso che l’art. 33 del D. Leg. n. 165/2001, al 5° comma, “in via subordinata menziona «la ricollocazione totale o parziale del personale in posizione di soprannumero o di eccedenza nell’ambito della stessa amministrazione, anche mediante il ricorso a forme flessibili di gestione del tempo di lavoro o a contratti solidarietà»” e, quindi, “evoca, evidentemente, l’istituto introdotto nel nostro ordinamento dall’art. 1 del d.l. n. 726/1984, convertito dalla legge n. 863/1984, e sul quale hanno successivamente inciso molteplici disposizioni”, ha ritenuto compatibile tale istituto anche all’impiego pubblico, seppur senza intervento della cassa integrazione guadagni.
In particolare, secondo la Corte, la predetta norma “autorizza, dunque, il datore di lavoro pubblico a procedere alla generalizzata riduzione dell’orario del personale in servizio, anche se non direttamente ricompreso fra quello eccedente, purché la riduzione medesima intervenga nell’ambito della procedura disciplinata dall’art. 33 e sia frutto di contrattazione a livello di ente, contrattazione che, in linea con il sistema delle fonti delineato dal d.lgs. n. 165/2001, ha efficacia generalizzata, a prescindere dall’adesione o meno del dipendente alle organizzazioni stipulanti, e prevale sulla contrattazione individuale di diverso tenore”, sottolineando che “La diversità di disciplina fra impiego privato ed impiego pubblico, ancorché “privatizzato”, si giustifica in ragione degli interessi di carattere generale che vengono in rilievo rispetto ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, tenute ad assicurare, in ottemperanza a quanto prescritto dall’art. 97 Cost., l’equilibrio dei bilanci e del debito pubblico, nonché gli « obiettivi di efficienza, efficacia ed economicità»”.
Sono stati poi dichiarati inammissibili i motivi di ricorso circa gli accertamenti in fatto effettuati dalla Corte Territoriale, che aveva dato atto delle ulteriori informative fornite dal Comune in corso di procedura, circa il numero ed i profili professionali in esubero, concludendo che l’Accordo poi raggiunto “è sussumibile nell’ambito del contratto di solidarietà espressamente consentito dall’art. 33, comma 5, del d.lgs. n. 165/2001, sicché non se ne può predicare la nullità, eccepita nel terzo motivo del ricorso incidentale, per contrasto con i limiti posti della contrattazione collettiva nazionale in tema di orario di lavoro, atteso che quei limiti, che attengono al rapporto fra contratto nazionale e contratto integrativo, non operano in presenza della disposizione speciale dettata dal più volte citato art. 33”.
Sulla base di tali argomentazioni, la Suprema Corte ha, quindi, enunciato i seguenti principi di diritto, a cui si dovrà attenere la Corte d’Appello di Milano, quale giudice del rinvio:
“a) l’art. 33, comma 1, del d.lgs. n. 165/2001 richiede che l’eccedenza di personale venga individuata dalla pubblica amministrazione con specifico riferimento alla consistenza della dotazione organica degli uffici, tenendo conto dell’area e dei profili professionali del personale in esubero;
a) nell’ambito della procedura disciplinata dall’art. 33 del d.lgs. n. 165/2001 la ricollocazione totale o parziale del personale in situazione di soprannumero o di eccedenza può essere ottenuta, pur in assenza di intervento della cassa integrazione guadagni, anche attraverso il ricorso al contratto di solidarietà, in mancanza del quale il datore di lavoro pubblico non può unilateralmente disporre per tutto il personale la riduzione dell’orario e del conseguente trattamento retributivo;
b) il contratto di solidarietà, intervenuto nel corso della procedura di riduzione dell’eccedenza di personale, è applicabile a tutti i dipendenti dell’ente ma può disporre solo delle situazioni future mentre non può incidere retroattivamente su diritti già sorti né sanare i vizi degli atti adottati dal datore in assenza delle condizioni di legge”.
Considerato che, purtroppo, molti Comuni italiani hanno rilevanti problemi economici, se non proprio di disequilibrio finanziario e spesso anche esubero di personale, la strada tracciata dalla Suprema Corte può consentire anche nel settore pubblico l’utilizzo di strumenti che evitino la messa in disponibilità e poi il recesso.

Come possiamo aiutarti?

Consultaci per qualsiasi informazione