A cura di Anna Minutolo
Come noto, la contestazione di infrazioni comportanti sanzioni disciplinari più gravi del rimprovero verbale deve avvenire per iscritto, con l’indicazione specifica dei fatti costitutivi dell’infrazione;
tale requisito è considerato imprescindibile sia per esigenze di certezza e di immutabilità, sia per fissare il termine per l’applicazione della sanzione disciplinare (Cass. 21 giugno 1988 n. 4240).
La legge non indica le modalità di consegna dell’atto al lavoratore: la comunicazione, pertanto, non deve avvenire necessariamente con lettera raccomandata e l’avvenuta ricezione non deve essere documentata dalla firma del destinatario, essendo sufficiente e legittima una consegna dell’atto scritto operata da persona incaricata dal datore di lavoro la quale potrà fornire, tramite testimonianza, la prova dell’avvenuta contestazione (Cass. 10 giugno 1988 n. 3716).
In particolare, se il datore di lavoro intende consegnare a mani al lavoratore la lettera contenente il provvedimento disciplinare ed egli si rifiuta di riceverla, occorre procedere alla sua lettura o informare sommariamente il dipendente del contenuto della stessa (Cass. 14 marzo 2019 n. 7306). Quando le lettere di contestazione o di irrogazione delle sanzioni disciplinari, compreso il licenziamento, vengono inviate al lavoratore tramite raccomandata, vale la presunzione di conoscenza prevista dal codice civile (art. 1335 c.c.) per gli atti unilaterali recettizi (cioè gli atti che si presumono conosciuti una volta giunti all’indirizzo del destinatario), a prescindere da un eventuale rifiuto del destinatario di ricevere l’atto (Cass. 6 novembre 2015 n. 22717; Cass. 25 marzo 2013 n. 7390; Cass. 3 novembre 2008 n. 26390).
In proposito, secondo la giurisprudenza “Il datore di lavoro che intenda sollevare contestazioni scritte al dipendente deve inviare la relativa lettera di contestazione disciplinare alla residenza effettiva del lavoratore, restando irrilevante che l’invio non si sia perfezionato in quanto avvenuto all’indirizzo comunicato dal lavoratore al momento dell’assunzione, successivamente modificato senza comunicazione di variazione di residenza e/o domicilio” (Trib. Parma, 18 febbraio 2019, n. 383).
La Corte di Cassazione ha, poi, chiarito che “seppure non esista un obbligo od onere generale ed incondizionato di ricevere comunicazioni scritte da chicchessia ed in qualunque situazione, deve tuttavia ritenersi ingiustificato il rifiuto del lavoratore subordinato di ricevere, dal proprio datore di lavoro, o da un suo delegato, comunicazioni, anche formali, sul posto e durante l’orario di lavoro, in considerazione dello stretto vincolo contrattuale che lega le parti. Ne consegue che anche ai sensi dell’art. 1335 c.c., il rifiuto del destinatario di ricevere un atto unilaterale recettizio comporta che la comunicazione debba ritenersi avvenuta in modo corretto, in quanto regolarmente giunta a quello che, al momento, era l’indirizzo dello stesso” (Cass. 3 novembre 2008, n. 26390. In termini, Trib. Milano, 5 gennaio 2001).
Analogo principio è stato espresso in tema di licenziamento dalla Suprema Corte secondo cui “Un atto unilaterale recettizio, qual è il licenziamento, si presume conosciuto – ai sensi dell’art. 1335 c.c. – nel momento in cui è recapitato all’indirizzo del destinatario e non nel diverso momento in cui questi ne prenda effettiva conoscenza; ne consegue che, ove il licenziamento sia intimato con lettera raccomandata a mezzo del servizio postale, non consegnata al lavoratore per l’assenza sua e delle persone abilitate a riceverla, la stessa si presume conosciuta alla data in cui, al suddetto indirizzo, è rilasciato l’avviso di giacenza del plico presso l’ufficio postale, restando irrilevante il periodo legale del compimento della giacenza e quello intercorso tra l’avviso di giacenza e l’eventuale ritiro da parte del destinatario” (Cass. 28 settembre 2018 n. 23589. In termini, Cass. 2 novembre 2016, n. 22311; Cass. 15 dicembre 2009, n. 26241; Cass. 24 aprile 2003, n. 6527) Invero, secondo la Suprema Corte: “La prova dell’avvenuta previa contestazione dell’addebito da parte del datore di lavoro al fine della successiva irrogazione di una sanzione disciplinare al lavoratore può in mancanza di specifiche prescrizioni – essere fornita dal datore di lavoro con qualunque mezzo, tenendo conto che – nell’ipotesi in cui quest’ultimo abbia inoltrato la lettera di contestazione mediante raccomandata a mezzo del servizio postale – è sufficiente a tal fine la prova dell’avvenuto avviso, all’indirizzo del lavoratore destinatario, della giacenza del plico postale, quale risultante dall’annotazione apposta su questo stesso” (Cass. 10 novembre 1990, n. 10853; Cass. 30 luglio 2019 n. 20519).
In sostanza, secondo la giurisprudenza, gli atti unilaterali recettizi (quali lettere di contestazione e di irrogazione dei provvedimenti disciplinari), si presumono conosciuti dal lavoratore nel momento in cui la lettera contenente il provvedimento gli viene recapitata e, da tale momento, produce i suoi effetti.
Per provare che sia la lettera di contestazione che di irrogazione della sanzione sono state “conosciute dal lavoratore” è necessario produrre copia dell’avviso di giacenza
Per quanto riguarda l’idoneità a dimostrare la consegna della raccomandata delle notizie ricavabili dal sito Internet delle Poste italiane, non si rinvengono precedenti giurisprudenziali. È un sistema informativo particolarmente “nuovo” – non solo sotto il profilo cronologico – e dovrà essere elaborato dalla giurisprudenza. Allo stato attuale, la stampa della pagina con i dati di consegna potrebbe comunque avallare la prova fornita con la ricevuta di spedizione.