A cura di Mario Cammarata e Noemi Spoleti
Il rapporto tra datore di lavoro e dipendente è regolato da numerose norme volte a garantire un equilibrio tra il potere datoriale e i diritti del lavoratore, tra cui spiccano le tutele legate alla privacy e alla dignità personale. In questo contesto, la richiesta da parte datoriale di avere accesso ai dati giudiziari del dipendente (ad esempio, condanne penali o procedimenti pendenti) rappresenta una questione delicata, poiché implica il trattamento di dati personali sensibili, nonché un’indagine nella sfera personale del dipendente.
Passiamo all’analisi del quadro normativo di riferimento, con particolare riguardo all’art. 8 dello Statuto dei Lavoratori e alla legislazione sulla privacy.
L’art. 8 della Legge 300/1970 (Statuto dei Lavoratori) stabilisce il divieto per il datore di lavoro di indagare sulle opinioni politiche, religiose o sindacali dei lavoratori, oltre che su fatti non rilevanti ai fini della valutazione delle capacità professionali.
Detta norma, per quanto non menzioni esplicitamente i dati giudiziari, pone un principio fondamentale: il datore di lavoro non può raccogliere informazioni sui dipendenti che non siano strettamente legate alle esigenze professionali e lavorative, ciò in ragione del perseguimento di una evidente finalità antidiscriminatoria.
In altre parole, con specifico riferimento al tema che ci occupa, la richiesta dei dati giudiziari è consentita solo se necessaria e proporzionata rispetto alla posizione lavorativa in questione. Il concetto di “necessità” è cruciale: solo se la conoscenza di eventuali condanne o procedimenti giudiziari è rilevante per il tipo di mansioni che il lavoratore svolge o dovrà svolgere, il datore di lavoro può legittimamente richiedere tali informazioni.
Da un ulteriore punto di vista, L’art. 10 del Regolamento comunitario 679/2016 – c.d. GDPR – stabilisce, infatti, che il “trattamento dei dati personali relativi a condanne penali e a reati” può avvenire soltanto sotto il controllo dell’autorità pubblica o se autorizzato dal diritto dell’Unione o degli Stati membri.
In ambito nazionale, il Nuovo Codice della Privacy – D.lgs. 196/2003, come modificato dal D.lgs. 101/18, che ha adeguato la normativa italiana alle previsioni del GDPR – dispone, all’art. 2-octies, comma 1, che il trattamento dei predetti dati, laddove non avvenga sotto il controllo dell’autorità pubblica, è consentito solo se è autorizzato da una norma di legge o, nei casi previsti dalla legge, di regolamento, che prevedano garanzie appropriate per i diritti e le libertà degli interessati e, al comma 2, che, in mancanza delle predette disposizioni di legge o di regolamento, i trattamenti dei dati di cui al comma 1 sono individuati con decreto del Ministro della giustizia.
Tuttavia, allo stato attuale, nel nostro ordinamento, non vi sono disposizioni di legge o di regolamento che autorizzano il trattamento dei dati giudiziari, né, ad oggi, il Ministero ha provveduto all’emanazione del decreto indicato al comma 2 dell’art. 2-octies del D.lgs. 196/2003.
Quindi, sebbene, come detto, sia prassi invalsa presso molte aziende quella di chiedere prima dell’assunzione autodichiarazioni o documenti – il certificato penale e il certificato dei carichi pendenti – attestanti la situazione giudiziaria del candidato, anche tale richiesta, ove contestata, potrebbe essere ritenuta illegittima, considerato che – a rigore – non trova attualmente supporto in alcuna base giuridica.
A tale ultimo proposito, va anche tenuto in considerazione che, alla luce di quanto affermato dal Garante della Privacy, con provvedimento n. 314 del 22 maggio 2018, il CCNL non può essere considerato “idonea base giuridica per il trattamento dei dati, in quanto la citata disciplina, espressione dell’autonomia collettiva, appare generica laddove si limita a prevedere la possibilità di acquisire dati giudiziari indipendentemente dal tipo di mansioni svolte dal dipendente…”.
Pertanto, in linea generale, la richiesta dei dati giudiziari è considerata legittima solo in quei contesti in cui la conoscenza di eventuali condanne o procedimenti penali sia strettamente necessaria per il corretto svolgimento delle mansioni del dipendente o per garantire la sicurezza dell’ambiente di lavoro.
Ad esempio, è ragionevole e giustificato richiedere i dati giudiziari nelle seguenti situazioni:
- Settori sensibili: per i lavoratori impiegati in settori che richiedono particolare affidabilità e integrità morale, come la sicurezza privata, il trasporto di denaro, il lavoro con minori o persone vulnerabili, o il settore bancario e assicurativo. In questi casi, la richiesta di certificati penali può essere necessaria per tutelare gli interessi dell’azienda e di terzi.
- Accesso a informazioni riservate: i dipendenti che hanno accesso a dati sensibili o riservati, come gli amministratori di sistemi informatici o i dirigenti aziendali, possono essere soggetti a controlli di questo tipo per ridurre il rischio di condotte illecite.
- Ruoli fiduciari: i lavoratori che ricoprono incarichi di fiducia all’interno di un’azienda, come i responsabili delle finanze o delle risorse umane, possono essere sottoposti a verifiche giudiziarie, sempre nel rispetto delle normative vigenti.
Facendo applicazione della sopraindicata previsione statutaria la – ridotta – giurisprudenza (Cass. 14 agosto 2020 n. 17167, Cass. 10 ottobre 2018, n. 25085, Cass. 12 settembre 2018 n. 22173, Cass. 17 luglio 2018 n. 19012) pronunciatasi sul tema, bilanciando l’interesse alla privacy del lavoratore con l’interesse tutelato ex art. 41 Cost. all’esercizio libero dell’attività imprenditoriale, ha ritenuto che la richiesta da parte del datore di lavoro di informazioni riguardanti i dati giudiziari del lavoratore sia ammissibile solo laddove giustificata dalla particolare natura delle mansioni che il lavoratore svolge o andrà a svolgere e, quindi, se finalizzata a valutare la sua specifica attitudine professionale alla loro esecuzione. Di converso, tale richiesta non è ritenuta legittima ove rivolta al lavoratore in via generale, prescindendo da una rilevanza delle informazioni richieste ai fini della valutazione dell’idoneità professionale del candidato-dipendente a ricoprire la mansione offerta-assegnata.
Esemplificando, una società che intende procedere all’assunzione di autisti di autobus può ben ritenersi legittimata a conoscere, prima della conclusione del contratto di assunzione, se il candidato ha riportato condanne per guida in stato di ebbrezza o per omicidio colposo stradale; mentre tale indagine non risulterebbe giustificata laddove la mansione offerta sia, per esempio, quella di addetto al back office.
In definitiva, la possibilità per il datore di lavoro di richiedere i dati giudiziari ai propri dipendenti è ammessa solo in presenza di una base giuridica adeguata e nel rispetto dei principi di necessità e proporzionalità. L’art. 8 dello Statuto dei Lavoratori e la normativa sulla privacy offrono una protezione importante, impedendo al datore di lavoro di raccogliere dati non rilevanti o eccessivi rispetto alla posizione lavorativa del dipendente. Tuttavia, nei settori o nelle mansioni particolarmente sensibili, la richiesta di tali dati può essere considerata legittima e giustificata. La giurisprudenza ha confermato che la tutela della privacy del lavoratore deve sempre essere bilanciata con le esigenze di sicurezza e affidabilità aziendale.