A cura di Vittorio Provera e Rebecca Pala
Il tema del passaggio generazionale di imprese e patrimoni è rilevante in un contesto di economia avanzata come è quella italiana, con presenza anche di norme ben precise in materia successoria. Diversi sono gli strumenti che possono essere adottati in relazione alle particolari esigenze di continuità aziendale.
Il suddetto scopo è ben perseguito dai negozi di separazione patrimoniale, ossia l’insieme degli istituti giuridici che regolano il distacco di beni e diritti dal patrimonio di un soggetto, al fine di formare una massa autonoma, distinta dalle restanti posizioni giuridiche del soggetto conferente. La sfera patrimoniale di quest’ultimo risulta ora composta da masse patrimoniali separate, che si sottraggono al principio generale di cui all’articolo 2740 cod. civ., in funzione del quale ciascun soggetto risponde dei propri debiti con tutto il suo patrimonio.
La segregazione patrimoniale così costituitasi è funzionale alla realizzazione di uno scopo predefinito, meritevole di tutela, tale da giustificare il sacrificio, imposto ai creditori del soggetto conferente, per le obbligazioni, su quest’ultimo gravanti, connesse a rapporti estranei.
Il descritto obiettivo è realizzato anche dal Trust, un istituto – ormai ben noto al nostro ordinamento – di origine anglosassone. Il medesimo ha fatto ingresso nel nostro ordinamento con il recepimento della convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985, ratificata in Italia con legge 16 ottobre 1989, n. 364. Sempre in un’ottica di passaggio generazione, il trust si presenta come uno strumento efficace, mediante il quale i soggetti che subentreranno nell’azienda possono essere individuati anticipatamente, ma il loro effettivo ingresso può essere rinviato ad una data successiva.
La fattispecie è regolata nei seguenti termini: il proprietario di determinati beni (in inglese settlor), attribuisce ad un soggetto terzo (il cosiddetto amministratore del trust o “trustee”) tutte le prerogative e gli obblighi, spettanti al proprietario, con l’impegno dell’amministratore a gestire detti beni per una finalità già stabilita dal settlor, purché lecita e non contraria all’ordine pubblico; il tutto nell’interesse di uno o più beneficiari.
Dunque, abbiamo due sostanziali azioni (anche se tecnicamente raccolti in un unico atto): (i) l’attribuzione di beni ad un trustee o amministratore e (ii) l’individuazione delle regole da osservare in ambito di gestione di determinati beni. Il trasferimento dei beni del settlor nel trust, amministrato dal trustee, è vincolato da un patto intercorrente tra i due soggetti rilevanti, il cosiddetto patto di fiducia. In virtù di suddetto accordo l’amministratore gestisce i beni trasferiti nell’interesse dei beneficiari nonché nel rispetto di eventuali limiti imposti dal proprietario. Tanto gli obiettivi quanto i limiti, a cui deve attenersi il trustee, sono regolati nell’atto istitutivo, redatto innanzi ad un notaio, avente natura pubblica e quindi opponibile.
Quanto al profilo fiscale, il Trust è un centro di imputazione di rapporti economici, ragione per cui ha soggettività tributaria. Semplificando sul punto, qualora il Trust sia costituito in favore di stabiliti beneficiari, la tassazione avverrà direttamente su questi ultimi, in quanto gli utili derivanti dal fondo sono cumulabili con tutti gli altri redditi dei singoli beneficiari individuati.
Considerata la notevole diffusione dell’istituto, negli ultimi anni diversi istituti di credito ed operatori nel settore private hanno creato servizi ad hoc, in grado di fornire consulenza sia ai professionisti che ai clienti per la definizione migliore della struttura dell’operazione e per la gestione del trust, in cui è fondamentale l’elemento fiduciario.
In ambito aziendale, il Trust si rivela utile per consentire agli imprenditori, soprattutto in aziende con forte connotazione famigliare, una successione con limitati impatti sulla prosecuzione dell’attività di gestione dell’impresa. L’interessato, infatti, può conferire le azioni in suo possesso (che rappresentano la maggioranza di capitale sociale), unitamente ad altri beni, in un Trust istituito appositamente. L’amministratore del Trust, quale gestore delle azioni, seguendo le indicazioni dell’imprenditore, dovrà designare un amministratore della società, indicando – ad esempio – uno dei figli del medesimo che abbia dimostrato maggior capacità manageriale e interesse imprenditoriale; così come potrebbe costituire un Consiglio di amministrazione in base sempre alle indicazioni dell’imprenditore. In caso di morte, tutti gli altri eredi non potranno opporsi a tale designazione, pur beneficiando degli utili derivanti dalla gestione dell’attività, oltre che di eventuali altri beni a disposizione lasciati dall’imprenditore.
In questo modo, peraltro, potranno essere meglio governate le situazioni di conflitto d’interesse; inoltre, i beni conferiti al trust restano tutelati da rischi di aggressione da parte di terzi, per rivendicazione nei confronti dell’originario conferente. Analoga finalità può essere perseguita nel caso di trasferimento di immobili o di quote di società immobiliari ad un Trust, consentendo di conservare la sua unità anche dopo la morte del soggetto che ha istituito il trust.
Senza dimenticare che il Trust consente, se localizzato nell’ambito di una giurisdizione che non preveda l’imposizione fiscale sulle plusvalenze di cessione di quote azionarie, di trattenere nel Trust il ricavato della cessione, distribuendolo poi al beneficiario in Italia in esenzione di imposta, come reddito di Trust estero stante la presenza di convenzioni che vietano doppia imposizione.
Ovviamente questo strumento può essere utilizzato anche in situazioni meno complesse, allorché, ad esempio, un libero professionista voglia destinare parte dei suoi beni per esigenze di vita futura della famiglia e di eventuali minori. Anche in questo caso il conferimento del patrimonio immobiliare e/o finanziario nel Trust consente di proteggere il medesimo da rischi derivanti dall’attività professionale, di garantire la continuità del tempo e di prevedere che i redditi e/o anche taluni beni possono essere impiegati per le necessità della famiglia.
Già da questi esempi si può avere una prima idea del possibile utilizzo dell’istituto nel quale, tuttavia, risulta fondamentale che nella fase di costituzione e di gestione intervengano strutture specializzate e competenti.
All’esito delle esposte considerazioni, emerge chiaramente la natura particolarmente duttile del trust, in quanto contemporaneamente idoneo a preservare l’esigenza di unità del patrimonio aziendale, senza che ciò influisca sulle decisioni di natura economica – organizzativa del disponente, il quale mantiene, quindi, saldamente il controllo dell’impresa.