A cura di Bonaventura Minutolo
Il difficile limite tra potere giudiziario ed amministrativo evidenziato dalla recente decisione della Suprema Corte (23 maggio 2023 n. 14209) in relazione alle immissioni intollerabili di cui all’art. 844 c.c..
Da tempo si dibatte sulla possibilità, in tema di disturbo della quiete proveniente dalla proprietà pubblica (strade, piazze etc.), di invocare il disposto dell’art. 844 c.c. in presenza di immissioni sonore intollerabili, registrate di frequente presso luoghi di intrattenimento serale da gruppi chiassosi di persone (c.d. movida).
Il complesso intervento della giustizia civile sul tema ha dovuto, da un lato preoccuparsi di garantire un diritto costituzionalmente garantito: quello della salute (art. 42 Cost.) e, dall’altro, non invadere ambiti che la stessa Carta Costituzionale riserva ad altri poteri (come quello amministrativo).
La sentenza in epigrafe – infatti – ha ribadito, sulla direttiva segnata dalle sezioni unite 27.7.2022 n. 23436 e 15.9.2012 n. 27175, che “L’ente comunale può essere convenuto in giudizio in quanto responsabile delle immissioni intollerabili provenienti dalla strada comunale, prodotte da avventori dei locali commerciali, idonee a ledere i diritti dei cittadini alla salute, alla vita familiare e di proprietà.
Il punto controverso di maggior rilievo, esaminato dalla Suprema Corte, riguarda la questione del se l’intervento del Comune trovi giustificazione legale in una disposizione di legge, che obblighi l’ente pubblico al controllo circa l’uso delle strade per emarginare confluenze chiassose di cittadini in prossimità di locali di intrattenimento; rilievo che il giudice di merito aveva superato sull’assunto che la responsabilità dell’ente trova fondamento nel disposto dell’art. 2043 c.c. (fatto illecito) riferibile al proprietario delle strade, anche se ente pubblico. La questione di più difficile soluzione è invece riposta nell’individuazione del provvedimento adottabile dal giudice, vale a dire se possa essere inibitorio.
In tale quadro la Suprema Corte conviene sull’impossibilità per il giudice di pronunciare un provvedimento di tale natura a carico dell’ente pubblico, il quale – invece – può essere tenuto solo al risarcimento del danno prodotto al cittadino molestato; diversamente si configurerebbe l’invasione della sfera riservata alla pubblica amministrazione (art. 360 n. 1 c.p.c.).
Al riguardo si è osservato – in dottrina – che se tale posizione della Cassazione richiama il principio neminem laedere, non è consentito invocare l’obbligo di garanzia, il quale deve trovare riscontro su specifiche disposizioni di legge; nella specie inesistenti.