In caso di dimissioni il datore piò rinunciare al preavviso. (Cass. 12 marzo 2024, n. 6782)

In caso di dimissioni il datore piò rinunciare al preavviso. (Cass. 12 marzo 2024, n. 6782)

A cura di Francesco Torniamenti

Un dipendente si dimetteva dal posto di lavoro dando al datore di lavoro il preavviso previsto e comunicando di voler lavorare sino alla scadenza dello stesso. Il datore di lavoro, però, comunicava al dipendente che le dimissioni avrebbero avuto effetto immediato e, pertanto, che il rapporto di lavoro sarebbe cessato istantaneamente.
Il dipendente citava, quindi, in giudizio il datore chiedendo la corresponsione della retribuzione che gli sarebbe spettata se avesse lavorato durante il periodo di preavviso.
Il Giudice di merito di primo e secondo grado accoglieva la domanda del lavoratore affermando che il datore di lavoro, a fronte di dimissioni con preavviso, si trova in una “posizione di soggezione” rispetto al diritto del lavoratore dimissionario di scegliere tra la cessazione immediata del rapporto oppure la prosecuzione dello stesso per la durata del preavviso; ne deriva che se il lavoratore dimissionario decide di continuare il rapporto lavorativo per la durata del preavviso il datore di lavoro può esonerare il suo dipendente dalla prestazione lavorativa ma non può sottrarsi all’onere di pagare l’equivalente dell’importo della retribuzione che sarebbe spettata al lavoratore dimissionario se avesse lavorato durante il periodo di preavviso. La Cassazione, con la sentenza in epigrafe, riformava le due sentenze di merito affermando sostanzialmente che il datore di lavoro può decidere di non avvalersi del preavviso dato dal dipendente e, in tal caso, è esonerato dall’obbligo di corrispondere al lavoratore dimissionario la retribuzione corrispondente al periodo di preavviso.
In particolare, la Suprema Corte è pervenuta a tale conclusione sulla base dei seguenti principi:
I) la finalità del preavviso è diversa seconda se il dipendente sia stato licenziato o si sia dimesso. Nel primo caso, infatti, il preavviso ha lo scopo di consentire al lavoratore di percepire la retribuzione per un certo lasso di tempo necessario per reperire una nuova occupazione mentre, nel caso di dimissioni, il preavviso ha la sola finalità di assicurare al datore di lavoro il tempo necessario ad operare la sostituzione del lavoratore recedente;
II) l’istituto del preavviso ha natura obbligatoria e non reale. Ne deriva che la parte recedete non è tenuta né ha diritto alla prosecuzione del rapporto sino alla scadenza del periodo di preavviso ma è libera di optare tra la prosecuzione del rapporto durante il periodo di preavviso o la corresponsione a controparte dell’indennità (con immediato effetto risolutivo del recesso);
III) dalla natura obbligatoria del preavviso consegue quindi che la parte non recedente ha un diritto di credito nei confronti di quella recedente e che tale diritto può essere rinunciato dal creditore. Quindi, in caso di dimissioni del dipendente, il datore di lavoro ben può rinunciare al preavviso ed esonerare il dipendente dal lavorare durante il preavviso;
IV) dalla rinuncia del preavviso da parte del datore di lavoro non sorge alcuna obbligazione di versare al dipendente la retribuzione che gli sarebbe spettata durante il periodo di preavviso.
La Cassazione, così statuendo, ha recepito i principi dalla stessa già espressi di recente (Cass. n. 27934/21).
Tale orientamento giurisprudenziale certamente impone al dipendente dimissionario (in particolare nel caso dei dirigenti ove il periodo di preavviso è particolarmente lungo) di agire con molta cautela evitando di sottoscrivere con il nuovo eventuale datore di lavoro un contratto che avrà inizio solo a decorrere della – ipotetica – scadenza del preavviso. Infatti ove il datore di lavoro, come nel caso di specie, dovesse rinunciare al preavviso, il lavoratore rischierebbe di trovarsi – per il periodo intercorrente dalle dimissioni all’inizio del nuovo impiego – senza retribuzione e senza il diritto di fruire dell’indennità di disoccupazione (che come noto, non spetta ai lavoratori dimissionari salvo i casi di dimissioni per giusta causa).

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