Interessi moratori e crediti di lavoro: in attesa del pronunciamento della Cassazione.

Interessi moratori e crediti di lavoro: in attesa del pronunciamento della Cassazione.

A cura di Claudio ponari

Con ordinanza ex art. 363-bis c.p.c. – istituto introdotto dalla riforma Cartabia che consente al Giudice di merito di disporre il rinvio pregiudiziale degli atti alla Corte di Cassazione per la risoluzione di una questione esclusivamente di diritto – il Tribunale di Parma ha disposto in data 3 agosto 2023 il rinvio alla S.C. per la risoluzione della questione di diritto riguardante l’applicazione della disciplina prevista dall’art. 1284, co. 4, c.c. ai crediti di lavoro. Come noto, il D.L. n. 132 del 2014, al fine di scoraggiare l’inadempimento nelle obbligazioni pecuniarie e di ridurre, di conseguenza, il ricorso all’Autorità Giudiziaria ha aggiunto all’art. 1284 cod. civ. (norma rubricata “Saggio degli interessi”) un quarto comma, secondo cui “se le parti non ne hanno determinato la misura, dal momento in cui è proposta domanda giudiziale il saggio degli interessi legali è pari a quello previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali”.
La questione dell’applicabilità dell’art. 1284, IV comma, c.c., ai crediti di lavoro è stata, infatti, valutata come controversa ed idonea a giustificare l’intervento della S.C, ritenendo il Giudice di Parma integrati i presupposti richiesti dal nuovo articolo 363-bis c.p.c.
In particolare il Giudice ha dato atto di come, secondo un primo orientamento, l’art. 1284, co. 4, c.c. non sarebbe applicabile ai crediti di lavoro, perché derogato dalla disciplina speciale prevista dall’art. 429, co. 3, c.p.c. che prevede, come noto, un regime di favore per i crediti del lavoratore.
Secondo tale disposizione, infatti, “il giudice quando pronuncia sentenze di condanna al pagamento di somme di denaro per crediti di lavoro deve determinare, oltre gli interessi nella misura legale, anche il maggior danno eventualmente subito dal lavoratore per la diminuzione di valore del suo credito, condannando al pagamento della somma relativa con decorrenza dal giorno della maturazione del diritto”.
Il ragionamento alla base di tale orientamento è che la disciplina speciale dettata dall’art. 429, co. 3, c.p.c. sottrae i crediti di lavoro dall’applicazione rigida del principio nominalistico (in base al quale i debiti pecuniari si estinguono con moneta avente corso legale al tempo del pagamento e per il suo valore nominale e l’eventuale deprezzamento del potere di acquisto, non compensato dall’applicazione degli interessi legali, può rilevare esclusivamente come posta di danno ulteriore ai sensi dell’art. 1224 c.c.) in modo da proteggere il patrimonio del prestatore di lavoro dagli effetti pregiudizievoli del deprezzamento monetario.
Alla luce di ciò, in forza dell’indirizzo giurisprudenziale richiamato, “sarebbe preclusa l’applicazione dell’art. 1284 co. 4 c.c., norma di generale applicazione, avendo il legislatore inteso riservare una regolamentazione settoriale a questa particolare materia in ragione del preminente valore costituzionale degli interessi coinvolti (in tal senso, a es. Trib. Roma 22 giugno 2020, n. 3577; Trib. Lucca, 2 marzo 2023, n. 75)”.
Secondo un diverso orientamento, invece, non vi sarebbero ostacoli all’applicazione della disciplina prevista dal co. 4° dell’art. 1284 c.c. ai crediti di lavoro, in quanto l’art. 429, co. 3, c.p.c. nella parte in cui prevede che sui crediti di lavoro debbano essere applicati gli interessi nella misura legale, “opererebbe un rinvio all’art. 1284 c.c. nella sua interezza: sia al co. 1, in cui viene stabilito – mediante rinvio alla determinazione annuale effettuata con decreto ministeriale – il saggio generale degli interessi legali, sia al co. 4, che prevede che dalla domanda giudiziale – in caso di mancata determinazione convenzionale del tasso di interesse – «il saggio degli interessi legali è pari a quello previsto nella legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali». Soggiunge il Giudice che se la ratio della disciplina prevista dall’art. 1284, co. 4, c.c. è quella “di scoraggiare la resistenza dilatoria a iniziative giudiziali infondate”, la stessa esigenza dovrebbe sussistere anche in ambito lavoristico. Inoltre, sempre secondo il giudice del rinvio, l’orientamento giurisprudenziale che afferma l’inapplicabilità della norma in esame ai crediti di lavoro “finirebbe per fornire una tutela minore (considerata la sensibile differenza tra il saggio di interessi legale ‘generale’ e quello previsto dalla legislazione sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali) ai soggetti che il legislatore aveva inteso garantire maggiormente con la disciplina di favore di cui all’art. 429 co. 3 c.p.c. (v. in tal senso, a es., Trib. Perugia, 15 marzo 2022, n. 53; Trib. Venezia, 19 gennaio 2023, n. 29; Trib. Venezia, 16 marzo 2023, n. 176)”.
Il Tribunale ha quindi invocato l’intervento chiarificatore della S.C., ritenendo l’opportunità di “stimolare la pronuncia in senso nomofilattico”.
Con la stessa ordinanza il Giudice ha anche richiesto alla S.C. di pronunziarsi su un’ulteriore questione inerente all’ambito applicativo degli interessi maggiorati ex art. 1284 c.c.
In particolare, il Giudice ha evidenziato come accanto ad un orientamento (di legittimità) favorevole ad applicare la disposizione alle sole controversie aventi ad oggetto crediti di natura contrattuale (Cass. 7 novembre 2018, n. 28409 – Cass. 9 maggio 2022, n. 14152), come si desumerebbe dal riferimento operato dalla norma all’ipotesi di determinazione convenzionale del tasso di interessi, si porrebbe un altro orientamento favorevole ad applicare la maggiorazione degli interessi ad ogni credito pecuniario, anche di origine extracontrattuale. Ciò in base al rilievo che la clausola di salvezza “se le parti non ne hanno determinato la misura”, contenuto nell’incipit della norma, varrebbe solamente a evidenziare il carattere non inderogabile della norma e non già a limitarne l’ambito di applicazione (Cassaz. 3 gennaio 2023, n. 61).
Entrambe le questioni rimesse alla Suprema Corte sono sicuramente di grande interesse ed attualità.
Da un punto di vista interpretativo mentre l’orientamento che esclude l’applicazione dell’art. 1284, IV comma, c.c. sembra avere un valido fondamento normativo e l’avallo della giurisprudenza della S.C. che, con la sentenza resa a Sezioni Unite del 16 luglio 2008, n. 19499, ha già rimarcato la specialità dei crediti di lavoro, dal momento che, diversamente da quanto avviene per le altre obbligazioni di valuta, i crediti di lavoro sono già beneficiari di una maggiore tutela, data dall’automaticità della decisione del Giudice che si riferisce anche al calcolo del maggior danno da svalutazione ed al cumulo di interessi e rivalutazione non può dirsi altrettanto dell’orientamento contrario.
Quest’ultimo, infatti, fa leva su un argomento di natura “sostanziale” e cioè la presunta applicazione di un regime complessivamente meno favorevole per i crediti di lavoro che è del tutto opinabile (ad esempio in periodi di tensioni inflattive la tutela speciale dell’art. 429 c.p.c. è certamente rilevante). Inoltre non può essere tralasciato che l’applicazione combinata dell’art. 1284, IV comma, c.c. e dell’art. 429, n. 3, c.p.c. finirebbe con l’aggravare oltre misura la posizione del debitore il quale, senza aver previamente concordato l’applicazione di un interesse convenzionale di natura più gravosa, quale quello discendente dall’applicazione degli interessi commerciali, verrebbe ad essere esposto ad una disciplina particolarmente onerosa quale quella che scaturirebbe dall’applicazione congiunta dell’art. 429, comma 3, c.p.c. e dell’art. 1284, quarto comma, c.c. in assenza di un accordo in tal senso.
Infine, desta ancora maggiori perplessità l’ipotesi di applicare l’art. 1284, IV comma, c.c. ai crediti extracontrattuali; in punto sembra più corretto ritenere, come ha fatto la S.C. nella decisione del 7 novembre 2018, n. 28409 che “l’elemento testuale di assoluta rilevanza ai fini della corretta interpretazione della portata applicativa della norma de qua risulta essere l’incipit della proposizione di cui all’art. 1284 c.c., comma 4, – “Se le parti non ne hanno determinato la misura….” si applica il saggio d’interesse proprio per le transazioni commerciali”.
La S.C. ha infatti evidenziato come debba essere “considerata proprio la finalità deflattiva perseguita dal Legislatore con l’adozione degli intessi commerciali, aventi saggio assai più elevato degli interessi legali siccome individuati art. 1284 c.c., ex comma 1.
Difatti il cenno alla convenzione tra le parti sul punto lumeggia come la voluntas legis sia diretta a colpire l’inadempienza, rispetto ad un obbligo liberamente e pattiziamente assunto, anche mediante l’abuso del processo come mezzo per prolungare ai danni del creditore la soddisfazione del suo diritto”.
La tesi quindi che gli interessi moratori possano essere applicati, ad esempio, ai casi in cui il Giudice ordini il pagamento di un indennizzo da licenziamento illegittimo pare stridente rispetto alla ratio ed alla lettera dell’art. 1284, quarto comma, c.c.
Ad ogni modo la Suprema Corte potrà chiarire entrambe le questioni, non resta quindi che attendere il suo pronunciamento.

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