
A cura di Michela Casula
In seguito alla mancata restituzione di una somma concessa a titolo di mutuo fondiario, la Banca intraprese l’esecuzione forzata nei confronti del debitore e dei suoi garanti. Questi ultimi proposero opposizione all’esecuzione, sostenendo che il contratto di mutuo fondiario fosse nullo per violazione del limite di finanziabilità stabilito dall’art. 38, comma 2 del D.lgs. 385/93.
Il Tribunale di Pistoia accolse la domanda di nullità ed escluse che il contratto di mutuo fondiario potesse produrre gli effetti del mutuo ordinario ex art. 1424 c.c.
In sede di gravame, la Corte territoriale confermò la decisione di primo grado laddove escludeva la conversione ope legis del contratto, ma dichiarò la nullità solo parziale dello stesso, per la parte eccedente il limite di finanziabilità di cui al citato art. 38, D.lgs. 385/93.
Su tale ultimo tema veniva instaurato il giudizio di legittimità, nell’ambito del quale la Suprema Corte ha innanzitutto riqualificato d’ufficio il motivo di impugnazione come denuncia di una violazione di giudicato interno. Osserva, infatti, la Corte che la banca aveva impugnato la sentenza di primo grado esclusivamente nella parte in cui aveva rigettato la domanda di conversione ex art. 1424 c.c., senza muovere alcuna censura in merito alla statuizione di nullità del contratto.
In particolare, l’appellante aveva sostenuto che il contratto di mutuo fondiario, sebbene nullo, potesse produrre gli effetti di un mutuo ordinario ex art. 1424 c.c., e che il Tribunale avesse totalmente disatteso l’obbligo di verifica della sussistenza dei requisiti formali e sostanziali del contratto di mutuo ordinario con garanzia ipotecaria, nonché l’idoneità di questo a realizzare il risultato perseguito dalle parti.
Tuttavia, secondo la Corte “una domanda di questo tipo ha per presupposto implicito, ma inequivoco, che il contratto sia effettivamente nullo. La nullità del contratto è infatti il presupposto della sua conversione in altro contratto dei quali abbia i requisiti di forma e contenuto. Se un contratto non fosse nullo, non avrebbe senso discorrere della sua conversione. Pertanto, avendo il Tribunale rilevato una nullità integrale del contratto e non essendo stata impugnata tale statuizione da alcuno, si era formato il giudicato interno sul fatto che il contratto di mutuo fosse integralmente nullo: e la Corte d’appello avrebbe dovuto unicamente stabilire se quel contratto nullo potesse o non potesse convertirsi in altro tipo di negozio. La Corte d’appello, pertanto, non poteva dichiarare la nullità parziale del contratto”.
Né potrebbe nel caso di specie invocarsi la rilevabilità d’ufficio della nullità in ogni stato e grado, in quanto tale valutazione è preclusa al giudice dell’impugnazione allorché sulla validità del rapporto si sia formato un giudicato interno (cfr. Cass. 3 gennaio 2023, n. 50; Cass. 6 dicembre 2019, n. 31930).
Sulla scorta di quanto sopra esposto, la Suprema Corte ha accolto il ricorso, affermando il principio di diritto per cui “il giudice d’appello non può dichiarare la nullità parziale del contratto, per preclusione da giudicato, qualora il giudice di primo grado abbia ritenuto integralmente nullo il contratto, e l’appellante si sia doluto non di tale giudizio, ma soltanto della mancata conversione del contratto ai sensi dell’art. 1424 c.c.”.