La Corte di Cassazione fa chiarezza nel difficile rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare nel pubblico impiego

La Corte di Cassazione fa chiarezza nel difficile rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare nel pubblico impiego

A cura di Angelo Di Gioia

Una recente pronuncia della Suprema Corte di Cassazione è intervenuta per superare il contrasto interpretativo che si era determinato tra i giudici di merito in merito alle norme del Testo Unico sul pubblico impiego (D.Lgs. 165/2001) che regolano il rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare.
La questione posta all’attenzione del Supremo Collegio riguardava il ricorso promosso da un dipendente comunale che era stato licenziato a seguito del passaggio in giudicato della sentenza penale di condanna per il reato di peculato. Nell’immediatezza dei fatti, il Comune aveva comminato al lavoratore una sanzione conservativa, mentre il procedimento penale era in corso. Sopraggiunta la condanna del giudice penale per i medesimi fatti, il Comune aveva riaperto il procedimento disciplinare dopo il passaggio in giudicato della sentenza penale, come previsto dall’art. 55-ter, commi 3 e 4, del D.Lgs. 165/2001, comminando la sanzione del licenziamento disciplinare per i medesimi fatti in precedenza contestati.
Il Tribunale di Bergamo, all’esito del giudizio di primo grado, aveva annullato il licenziamento, ritenendo che il comma 3 dell’art. 55-ter dovesse essere interpretato nel senso che la riapertura del procedimento disciplinare fosse possibile solo ove dal procedimento penale fossero emersi fatti nuovi o aggiuntivi rispetto a quelli esaminati dall’amministrazione all’avvio del procedimento disciplinare, pena la violazione del principio del ne bis in idem, da considerarsi – per il primo giudice – immanente nell’ordinamento.
La Corte d’Appello di Brescia aveva riformato la decisione di primo grado, rimarcando l’interesse pubblico di primaria importanza sotteso alla normativa in esame, volta a garantire la piena legalità dell’azione della pubblica amministrazione attraverso l’introduzione di un meccanismo di bilanciamento reso necessario dalla scelta del legislatore di riconoscere una sostanziale autonomia tra procedimento penale e procedimento disciplinare. Per tale ragione, la Corte d’Appello bresciana riteneva che l’art. 55-ter dovesse essere interpretato nel senso che “non occorre che il fatto per il quale il dipendente è stato condannato presenti elementi di diversità rispetto al fatto vagliato in sede disciplinare e che non è necessario, ai fini della riapertura del procedimento disciplinare, che dalla sentenza penale irrevocabile risultino circostanze di fatto nuove, ignote all’Amministrazione nel momento di adozione della sanzione diversa dal licenziamento (il quid pluris di cui alla sentenza appellata), essendo necessario e sufficiente che dopo l’applicazione della sanzione conservativa sopraggiunga una sentenza che accerti che la condotta del lavoratore, pur non essendo emersi elementi di novità, integra un reato che comporta la sanzione del licenziamento”.
La Corte d’Appello, peraltro, ammetteva che la questione fosse “controvertibile” in quanto non ancora sottoposta al vaglio della Corte di Cassazione.
Il vaglio della Suprema Corte è intervenuto con la sentenza n. 36456 del 13 dicembre 2022, che ha respinto il ricorso del dipendente comunale, fissando importanti principi.
Nell’occasione, la Corte ha vagliato attentamente le argomentazioni difensive delle parti, accogliendo le tesi del Comune con una motivazione quanto mai articolata e approfondita.
In particolare, la Corte ha rimarcato la differenza esistente tra il datore di lavoro privato e il datore di lavoro pubblico, rilevando come mentre il primo, nell’esercizio del potere disciplinare, non è tenuto a garantire la piena attuazione dell’interesse pubblico e può anche decidere di non avvalersi del potere disciplinare, diversamente, la pubblica amministrazione non è egualmente libera in materia, posto che “l’interesse pubblico impone sia di colpire le infrazioni dei funzionari applicando la sanzione prevista sia di punire sempre violazioni analoghe in modo analogo”. La Corte ha, altresì, precisato i limiti del principio generale del ne bis in idem, affermando espressamente che tale principio “è derogato dall’art. 55 ter del d.lgs. n. 165 del 2001 per i casi ivi espressamente previsti al fine di adeguare, in ragione delle peculiari esigenze pubblicistiche, l’esito disciplinare, in melius o in peius, alla statuizione penale”.
Per effetto dei principi fissati dalla Corte di Cassazione con la sentenza in commento, in sostanza, nel pubblico impiego privatizzato, laddove il procedimento disciplinare non venga sospeso fino all’esito del procedimento penale, la sanzione inizialmente inflitta dall’amministrazione non esaurisce il potere disciplinare del datore di lavoro pubblico in quanto “non conclude il procedimento. La sanzione che viene irrogata dopo la sentenza penale passata in giudicato, in base agli identici fatti storici, è, invece, quella finale, che porta a termine detto procedimento”. Secondo la Suprema Corte, il procedimento disciplinare resta unitario, ma termina solo all’esito di quello penale e prevede due fasi. La prima fase prende avvio con la contestazione disciplinare e si conclude con l’applicazione di una sanzione da parte dell’amministrazione pubblica prima della definizione del procedimento penale. La seconda fase, poi, segue il passaggio in giudicato della decisione penale ed è necessaria per operare un “adeguato raccordo tra disciplinare e penale”. Tale seconda fase prevede il rinnovo della contestazione dell’addebito, che deve avvenire in ragione dei medesimi fatti storici alla base di quella originaria, in relazione ai quali è intervenuta sentenza penale irrevocabile. Si tratta di una decisione di fondamentale importanza, in quanto fornisce indicazioni quanto mai chiare e univoche alle pubbliche amministrazioni per gestire il procedimento disciplinare nella delicata situazione che si determina laddove, per i medesimi fatti contestati disciplinarmente, venga avviato anche un procedimento penale.

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