A cura di Marina Olgiati
Il 9 febbraio scorso sono state depositate le motivazioni delle sentenze della Corte Costituzionale che hanno deciso sulle ordinanze di rimessione della questione di costituzionalità dell’obbligo vaccinale imposto al personale sanitario nel periodo pandemico. Il contenuto delle sentenze era stato anticipato da un sintetico comunicato dell’Ufficio stampa della Corte del 1° dicembre 2022, il giorno successivo all’udienza nella quale la questione era stata discussa. Le sentenze sono tre, rubricate con i numeri 14, 15 e 16/2023. Solo le prime due, peraltro, affrontano nel merito la questione, in quanto la terza ha dichiarato l’improcedibilità della questione di costituzionalità sollevata dal giudice rimettente (TAR Lombardia) per difetto di giurisdizione. La Corte, che ha esaminato la questione con riferimento all’obbligo vaccinale imposto a medici e ad operatori sanitari (art. 4, co. 1, del D.L. n. 44/2021, convertito nella L. n. 76/2021), anche operanti in strutture residenziali, socio-assistenziali e socio sanitarie (art. 4 bis e 4 ter, stesso D.L.), attraverso un iter argomentativo che passa in rassegna la sua giurisprudenza in materia e che mette a confronto i contrapposti valori degni di tutela costituzionale, conclude nel senso che la scelta del legislatore di imporre l’obbligo vaccinale non è né irragionevole né sproporzionata.
Le riflessioni dei giudici costituzionali si incentrano sul fatto che i vaccini, come i trattamenti sanitari in genere, possono comportare rischi, anche gravi, per la persona a cui vengono somministrati; peraltro, in alcuni frangenti storici (quale è stato quello della recente pandemia) l’obbligo vaccinale può essere una misura non evitabile a tutela dell’interesse della collettività. Invero, in tali situazioni entrano in conflitto il diritto alla salute quale fondamentale diritto dell’individuo e quale interesse della collettività, entrambi tutelati dall’art. 32 della Costituzione ed il legislatore si trova a dovere contemperare l’uno e l’altro diritto, trovandosi, a volte, nella condizione di dovere scegliere di “sacrificare” il diritto individuale, imponendo un obbligo di vaccinazione non esente da rischi, in funzione dell’esigenza di protezione dell’interesse collettivo.
A fronte di una previsione normativa di tal genere, spetta, dunque, alla Corte vagliare se, a fronte del rilevato conflitto, nel contesto sanitario peculiare il legislatore abbia esercitato la propria discrezionalità nel rispetto dell’art. 32 Cost., operando un bilanciamento tra la dimensione individuale e collettiva del diritto alla salute in modo non irragionevole e non sproporzionato rispetto alla finalità perseguita.
La Corte ricorda che la compatibilità con l’art. 32 Cost. di una legge impositiva di un trattamento sanitario deve essere verificata, considerando: i) se il trattamento sanitario sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri; ii) se vi sia la previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di chi vi è assoggettato, salvo che per le sole conseguenze che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiono normali di ogni intervento sanitario e siano, quindi, “tollerabili”; iii) se, nell’ipotesi di danno ulteriore alla salute del soggetto a cui viene imposto il trattamento, sia per questi prevista la corresponsione di un’equa indennità.
Dato, dunque, per assodato che un evento avverso, anche grave, non rende di per sé illegittima la previsione di un obbligo vaccinale quando è previsto un indennizzo e tenuto, altresì, in debita considerazione il principio che il singolo ha il dovere di non ledere e di non porre a rischio con il proprio comportamento la salute degli altri, in osservanza del concetto generale per cui il diritto individuale trova un limite nel reciproco riconoscimento e nell’eguale protezione del coesistente diritto degli altri, la scelta del legislatore di adottare per i cittadini – o per determinate categorie di essi – un trattamento sanitario obbligatorio (il quale può, a volte, essere al limite di quelle che sono denominate “scelte tragiche” del diritto, precisa la Corte) può trovare la sua giustificazione nel principio solidaristico previsto dall’art. 32 Cost., che è espressione del più generale principio di solidarietà sancito dall’art. 2 della Costituzione.
Applicati tali principi all’obbligo vaccinale imposto al personale sanitario, tenuto conto del noto contesto storico (pandemia di dimensioni globali, caratterizzata da livelli eccezionali di diffusività e gravità), nonché delle conoscenze medico – scientifiche e delle evidenze sperimentali sul vaccino in punto di efficacia e sicurezza, acquisite dalle autorità preposte al momento di adozione della legge, la Corte Costituzionale ha ritenuto sussistenti le condizioni giustificative dell’imposizione del vaccino; più in generale, ha rilevato che l’obbligo (come anche l’incentivazione) alla vaccinazione (di natura temporanea e legato all’evoluzione della situazione epidemiologico – sanitaria) ha realizzato l’interesse collettivo, contribuendo alla riduzione dei contagi e, con specifico riferimento alla sanità, ha consentito di conseguire l’obiettivo di evitare l’interruzione del servizio sanitario e la congestione delle strutture ospedaliere, proteggendo, altresì, coloro che avevano necessità di avere contatti con gli operatori sanitari e, in primo luogo, i pazienti, spesso in condizioni di fragilità. La peculiare condizione degli esercenti la professione sanitaria e degli operatori sanitari di infettarsi e di infettare, nonché il fatto che questi si potevano facilmente ammalare, con il rischio di provocare un danno al sistema sanitario nazionale in termini di garanzia e continuità nell’erogazione delle cure, sono per la Corte elementi che fanno ritenere giustificato e proporzionato il differenziato trattamento sanitario obbligatorio per tali soggetti rispetto a quello riservato ad altre categorie di cittadini, costituito dalla semplice raccomandazione alla vaccinazione o dalla richiesta di test diagnostici, ripetuti a distanza di pochi giorni. Peraltro, viene osservato che il ricorso al test per i sanitari avrebbe comportato costi insostenibili e un intollerabile sforzo per il servizio sanitario, tanto a livello logistico-organizzativo quanto per l’impiego di personale, senza dimenticare che l’esito del test non è immediato (l’esito del test – afferma la Corte – “nasce già obsoleto”, in quanto possibilmente superato da un contagio nel frattempo sopravvenuto), con il rischio di presenza di soggetti inconsapevolmente contagiati nelle strutture sanitarie.
Infine, l’obbligo vaccinale è stato ritenuto misura non sproporzionata anche perché la conseguenza del mancato adempimento dell’obbligo è stata la mera sospensione dall’esercizio della professione sanitaria, con reintegro in servizio al venire meno dell’inadempimento o della situazione epidemiologica. E la sospensione non è misura sanzionatoria, ma una conseguenza calibrata, in quanto il sacrificio del diritto dell’operatore sanitario era funzionale allo scopo di perseguire la riduzione della circolazione del virus.
I principi riportati si ritrovano, in particolare, nella sentenza n. 14/2023, la quale ha risolto anche l’altra questione di costituzionalità sollevata dal giudice rimettente – in riferimento agli artt. 3 e 21 Cost. – dell’art. 1, L. n. 219/2017 e dell’art. 4, D.L. n. 44/2021, nella parte in cui dette norme non escludono l’obbligo del consenso informato, rispettivamente, nei casi di trattamento sanitario obbligatorio e nel caso di vaccinazione obbligatoria: per la Corte l’obbligatorietà dei vaccini lascia, comunque, al singolo la possibilità di scegliere se adempiere o meno all’obbligo, assumendosi, responsabilmente, in questo secondo caso, le conseguenze previste dalla legge. Nel caso di scelta di adempiere all’obbligo, il consenso, pur a fronte dell’obbligo, proprio nel rispetto dell’intangibilità della persona, è rivolto ad autorizzare l’inoculazione del vaccino.
Nella sentenza n. 15/2023, che ha deciso su molteplici ricorsi, la Corte ha risolto altre questioni collegate all’obbligo vaccinale. Segnatamente, i Giudici delle leggi hanno affermato che non è incostituzionale e non contrasta con gli artt. 3, 4, 32 e 35 della Costituzione la previsione che il personale sanitario che rifiuta il vaccino non debba essere ricollocato in posizioni che consentano di operare evitando il rischio di diffusione del contagio, a differenza di quanto è accaduto per coloro che sono stati esonerati dalla vaccinazione o per i quali questa è stata differita: per la Corte un dovere di repechage non è compatibile con la specificità delle strutture sanitarie, se non al rischio di mettere in pericolo la salute del lavoratore stesso, degli altri e dei terzi. Inoltre, il rifiuto, da parte del datore di lavoro, della prestazione dell’operatore che non si sottoponga alla vaccinazione è giustificato dal fatto che l’offerta della prestazione non è conforme a contratto, come integrato dalla legge; è perciò, da un lato, legittima la sospensione del rapporto di lavoro e, dall’altro lato, fondato il rifiuto datoriale perché la prestazione offerta manca di un requisito essenziale di carattere sanitario per il suo svolgimento. Non è stata poi ritenuta fondata la questione di costituzionalità con riferimento alle norme che non prevedono almeno un assegno alimentare per il lavoratore sospeso perché inadempiente all’obbligo vaccinale (art. 4, co. 5 del D.L.). Secondo i Giudicanti non è utile il paragone con il lavoratore pubblico a cui tale assegno viene riconosciuto quando viene sospeso dal lavoro perché sottoposto a procedimento penale o disciplinare: in questi casi, l’assegno alimentare ha funzione di sostegno per il lavoratore nel tempo occorrente per la definizione dei relativi giudizi, i quali attengono a comportamenti che richiedono di essere accertati in vista della prosecuzione del rapporto, in una situazione in cui è il datore di lavoro a decidere di rifiutare, nelle more, la prestazione. Diverso è il caso del lavoratore che decida deliberatamente di non vaccinarsi, sottraendosi così alle norme di sicurezza richieste per l’esercizio legittimo della sua prestazione lavorativa.
Infine, come anticipato, la sentenza n. 16/2023 ha ritenuto improcedibile la questione di legittimità costituzionale sollevata dal TAR Lombardia, perché questo Tribunale non aveva giurisdizione ad occuparsi della materia, di competenza del giudice ordinario. È interessante rilevare che il caso portato all’attenzione della Corte riguardava le norme qui in discussione, per contrasto con l’art. 3 della Cost., nella parte in cui non avevano limitato la sospensione dall’esercizio della professione sanitaria alle sole prestazioni o mansioni che implicavano contatti interpersonali: la questione era stata proposta in relazione ad uno psicologo che, durante la pandemia, esercitava la professione a remoto. Peraltro – ci sia consentito osservare – sarebbe stato forse eccessivo chiedere al legislatore di discriminare i casi in cui la professione sanitaria doveva essere svolta in presenza (la stragrande maggioranza dei casi) da quelli in cui – per libera scelta del professionista e nelle rare occasioni in cui ciò è ipotizzabile – poteva essere svolta a distanza.
Da ultimo, va rilevato che la Corte non si è pronunciata sull’obbligo vaccinale degli over 50, stabilito dall’art. 4 quater del D.L. n. 44/2021, introdotto dall’art. 1, D.L. n. 1/2022, come convertito. Nei vari giudizi, alcuni soggetti ultracinquantenni erano intervenuti sostenendo di essere titolari di una posizione su cui la pronuncia della Corte avrebbe inciso; la Corte ha però ritenuto gli interventi inammissibili per una questione tecnica, ovvero perché ha escluso che gli istanti fossero titolari di un interesse qualificato, inerente in modo diretto ed immediato al rapporto sostanziale dedotto in giudizio.
Rimane, dunque, aperta la questione della legittimità costituzionale dell’obbligo imposto a questa categoria di lavoratori (considerati “fragili” dal legislatore), per i quali pure il rifiuto del vaccino ha comportato la sospensione del rapporto di lavoro, con perdita della retribuzione; questione che è stata prospettata in diversi ricorsi presentati avanti alla magistratura del lavoro. Tuttavia, è chiaro che le motivazioni della Corte Costituzionale rese nelle sentenze sopra esaminate non potranno essere applicate, sic et simpliciter, al caso dell’obbligo vaccinale imposto agli ultracinquantenni, nell’ipotesi di scrutinio della costituzionalità delle norme che lo hanno previsto, posto che questa categoria di lavoratori versa certamente in una situazione diversa da quella del personale sanitario.