A cura di Sara Lovecchio
(breve nota a Corte Costituzionale 22 gennaio 2024, n. 7)
La pronuncia in commento trova origine in un giudizio di appello avente ad oggetto l’impugnazione di un licenziamento collettivo intimato ad una lavoratrice assunta in data 1° maggio 2016, alla quale, quindi, era applicabile la disciplina di cui all’art. 10, D. Lgs. n. 23/2015. La Corte d’Appello di Napoli, chiamata a decidere sulla fattispecie suddetta, ha sollevato questione di legittimità costituzionale della citata norma nella parte in cui prevede, nell’ambito dei licenziamenti ex lege n. 223/1991, la mera tutela indennitaria nel caso di violazione dei criteri di scelta.
In particolare, la Corte d’Appello napoletana ha sollevato tre censure diverse, ovvero:
a) l’eccesso di delega; b) l’ingiusta disparità di trattamento legata esclusivamente alla data di assunzione;
c) l’insufficienza ed inadeguatezza della tutela meramente economica.
Obiettivo della Corte rimettente era quello di ottenere la reintroduzione della tutela reintegratoria anche nella fattispecie oggetto di esame.
La Corte Costituzionale, dopo aver compiuto un’ampia ed attenta ricostruzione del quadro normativo e del “contesto riformatore” rappresentato dal “cosiddetto job Act: legge n. 183 del 2014”, ha dichiarato non fondate tutte le questioni sollevate dalla Corte napoletana per le ragioni di seguito sinteticamente riportate.
a) Come anticipato, la Corte rimettente ha, in primo luogo, evidenziato che, nell’escludere la tutela reintegratoria in caso di violazione di criteri di scelta nel licenziamento collettivo, il legislatore sarebbe andato oltre l’ambito della delega di cui all’art. 1, comma 7, lett. c) l. n. 183/2014 in quanto nel demandare l’adozione di una disciplina che escluda la possibilità di reintegrazione dei lavoratori nell’ambito dei licenziamenti economici, a dire della Corte partenopea, non si intendeva ricomprendere anche i licenziamenti collettivi, che rappresentano un “corpo normativo unitario, completo ed autonomamente disciplinato”.
Sul punto, la Consulta, dopo aver evidenziato che dagli stessi lavori parlamentari emerge la volontà di includere nei licenziamenti economici anche quelli collettivi, ha comunque rilevato, da un lato, che nel linguaggio corrente l’espressione “licenziamento economico” è “potenzialmente idonea ad essere adoperata in senso omnicomprensivo”; dall’altro, che “la norma contenuta nella disposizione censurata risulta essere conforme alla finalità della legge-delega di incentivare le nuove assunzioni e favorire il superamento del precariato sì da costituire un coerente sviluppo e completamento della disciplina, in simmetria, dei licenziamenti economici, sia individuali per giustificato motivo, sia collettivi per riduzione di personale”.
Sotto quest’ultimo profilo, la Corte Costituzionale ha sottolineato che, posto che è pacifica la volontà del legislatore di escludere la tutela reintegratoria in tutti i casi di licenziamento per giustificato a motivo oggettivo, sarebbe stata “incoerentemente asimmetrica una disciplina differenziata che avesse lasciato la tutela reintegratoria per i licenziamenti collettivi per violazione dei criteri di scelta, a fronte della sola tutela indennitaria nel caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo”.
b) Quanto alla pretesa disparità di trattamento legata a “regimi sanzionatori disomogenei” a seconda, esclusivamente, della diversa data di assunzione, la Consulta ha richiamato i propri precedenti – relativi specificamente alla ragionevolezza del criterio di applicazione temporale del regime introdotto dal d. lgs. n. 23 del 2015 ai soli lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015, con riferimento ai licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo – evidenziando che il diverso trattamento sanzionatorio di cui alla normativa suddetta “non viola il principio di uguaglianza, trovando il regime temporale un motivo non irragionevole nella finalità perseguita dal legislatore, <> (art. 1, comma 7, della legge n. 183 del 2014)”.
A dire della Corte “anche per i licenziamenti collettivi, come per quelli individuali, la ragionevolezza di una disciplina differenziata va individuata nello scopo dichiarato nella legge delega di favorire l’ingresso nel mondo del lavoro di “nuovi” assunti, accentuandone la flessibilità in uscita con il riconoscimento di una tutela indennitaria predeterminata, risultando indifferente rispetto a tale fine che il recesso sia individuale o collettivo”.
c) Infine, in merito alla pretesa “insufficienza di una tutela di tipo meramente indennitaria”, la Corte Costituzionale ha ricordato di aver già più volte valorizzato “quanto ai meccanismi di tutela del lavoratore nel caso di licenziamento illegittimo … la discrezionalità del legislatore in materia, evidenziando che quello della tutela reale non costituisce l’unico paradigma possibile”, ma solo “uno dei modi per realizzare la garanzia del diritto al lavoro”.
Conseguentemente, a dire della Consulta, “il legislatore ben può, nell’esercizio della sua discrezionalità, prevedere un meccanismo di tutela anche solo risarcitorio-monetario, purché esso sia rispettoso del principio di ragionevolezza”. In particolare, in merito alla sua quantificazione, perché lo stesso possa considerarsi adeguato non deve necessariamente comportare la “integralità della riparazione”, ma quanto meno un ristoro “serio ed equilibrato” del pregiudizio sofferto; in tale contesto la Consulta ammette anche la predeterminazione di un tetto massimo purché sia “fissato un importo sufficientemente elevato e non condizionato esclusivamente all’anzianità”.