
A cura di Rebecca Pala
“Follow-up studies of working population have linked several psychosocial factors, including high jobs demands, low job control, imbalance of effort and rewards, long working hours, bullying and violent situations at work, organisational injustice and job security, particulary when prolonged, to increased risk of cardiovascular disease”.
È questo l’esordio di uno degli ultimi studi a proposito della correlazione tra le malattie cardiovascolari (CVDs) e lo stress, riconducibile all’ambiente di lavoro.
Più precisamente lo studio si fonda su un assunto importante, ossia che la popolazione lavorativamente attiva risulta essere mediamente più in salute rispetto coloro che sono, invece, al di fuori del mercato del lavoro.
Ciò premesso, la ricerca analizza l’influenza nonché i rischi derivanti dall’ambiente di lavoro. Lo stress che “si insinua” nel contesto lavorativo è causa di patologie cardiovascolari, che – come noto – affliggono per lo più persone in età avanzata oppure soggetti già affetti da altre problematiche. Lo stress lavoro-correlato, quale fattore scatenante delle patologie cardiovascolari, abbatte notevolmente l’età delle persone affette da CVDs, in quanto colpisce – come evidente – la popolazione lavorativamente attiva. Inoltre le suddette patologie, assai diffuse nel nostro paese e in tutti i paesi più industrializzati, comportano dei costi enormi per la società tanto per la sanità pubblica quanto per le aziende. Lo stress non è appunto una malattia con autonoma rilevanza, ma una condizione che si instaura, seppur secondo le peculiarità individuali, in situazioni di forte pressione, tale da abbassare progressivamente la capacità di attivare le personali risorse fisiche e psicologiche. Lo studio approfondisce quindi la risposta anatomica agli stimoli stressogeni – si tratta sostanzialmente di un meccanismo endocrino con effetti sul sistema circolatorio, sede nella quale si verificano gli episodi patologici più gravi quali infarto, ictus e altre specifiche disfunzioni al cuore e alle arterie.
Secondo lo studio la risposta fisiologica descritta è riconducibile allo stile di vita nonché al contesto socio-ambientale, tra cui, dato il notevole impatto sulla vita di tutti i giorni, il luogo di lavoro. I fattori legati al mondo del lavoro – orario di lavoro eccessivo e remunerazione non equilibrata sia con riferimento alle ore lavorate sia con riferimento all’impegno fornito – sono definiti come “trigger”, cioè “grilletto” quale espediente attraverso cui prima lo stress e poi la situazione patologica si instaurano.
La ricerca si conclude, soffermandosi sulla gestione da parte del datore di lavoro dei fattori rischio, insiti nel luogo di lavoro. Il management si incentra sulla prevenzione, la quale è finalizzata innanzitutto alla creazione di un ambiente di lavoro salutare e costruttivo che promuovi senza condizioni e condizionamenti la salute fisica e mentale di tutti i lavoratori. La definizione di un ambiente di lavoro salutare, così come la promozione di una cultura della salute rappresenta uno degli aspetti attuativi del più generale concetto e obiettivo del work-life balance. È evidente che in tale ottica lo stress lavoro-correlato rappresenta un rischio che ha direzione opposta e non da ultimo foriero di un aggravio di costi.
Come già anticipato, lo stress non costituisce una patologia autonoma, ma un “trigger”, ragione per cui le malattie da esso derivanti hanno avuto un lento percorso di riconoscimento legislativo, che, come sempre, è sempre stato affiancato da un notevole apporto giurisprudenziale. In ragione di tale considerazione è opportuna una breve digressione. La medicina del lavoro ha conosciuto un primo considerevole sviluppo con la Riforma sanitaria del 1978: grazie a suddetto intervento normativo l’ordinamento ha superato l’originario approccio, legato alla tutela di patologie monocausali, in quanto connesse per lo più alla prestazione concretamente svolta (a titolo esemplificativo, patologie dell’udito nonché del sistema respiratorio e cardiovascolare). Il modello delineato dal Legislatore accoglie non solo le patologie espressamente tabellate, ma contempla una serie di “fattori di rischio”, dai quali dipende l’insorgenza di malattie multifattoriali correlate al lavoro. Un ulteriore passaggio, significativo per il nostro ordinamento, è rinvenibile nella sentenza della Corte Costituzionale n. 179 del 1988, la quale – stante l’evoluzione in materia, raggiunta dai tecnici dell’Inail – sancisce definitivamente il passaggio ad un “sistema misto”, grazie a cui, in primo luogo, sono assicurate tutte le malattie aventi “causa lavoro”. La suddetta espressione segna una modifica più che sostanziale, perché la tutela assicurativa è estesa a tutte le patologie, la cui origine è provata nell’occasione di lavoro, quindi ben oltre l’elenco tabellato di cui al Testo Unico n. 1124 del 1965.
La Corte Costituzionale interviene nuovamente e precisa che ciascun lavoratore ha diritto alla tutela, qualora sviluppi una malattia, di cui sia provata la causa di lavoro, a prescindere se essa sia stata inserita o meno nella tabella di cui al D. P. R. n. 1124 del 1965 (poi D. Lgs. 38 del 2000). Il giudice delle Leggi prosegue stabilendo che ogni forma di tecnopatia risulta assicurata all’INAIL, dovendosi dimostrare esclusivamente il nesso tra la lavorazione patogena e la malattia diagnosticata. La tutela assicurativa de quo trova fondamento nell’articolo 38 della Costituzione, il quale ha come finalità la protezione della persona del lavoratore e quindi l’insieme di quegli eventi incidenti sulla capacità di lavoro e connessi mediante il nesso causale ad attività tipicamente meritevoli di tutela secondo la legge (Corte Costituzionale, 2 marzo 1991, n. 100).
Quanto all’aspetto probatorio, l’individuazione del nesso causale è tutt’altro che agevole. La ricerca indaga quale evento, insieme di eventi o aspetto organizzativo assume rilevanza psicolesiva e in quale misura. Un ulteriore elemento di difficoltà è rinvenibile nel fatto che la somatizzazione dello stress è fortemente individualizzata, ossia condizionata dallo stato psico-fisico del paziente. Volendo essere più tecnici, la recettività del fattore stressogeno è modulato in relazione ad un certo grado di resilienza, nozione che raggruppa le caratteristiche personali di tolleranza alla pressione psicologica. Accertato lo stato a livello medico-legale, è necessario produrne prova in giudizio, opportunamente corroborata da riscontri esterni, al fine di agevolare la comprensione della situazione aziendale complessiva e raggiungere la cosiddetta probabilità qualificata, propria della tutela assicurativa. Tali riscontri consistono sia in evidenze documentali quali mail, ordini e provvedimenti disciplinari sia le testimonianze.
La posizione interpretativa, evidentemente estensiva, va quindi ad includere le malattie di natura psicosomatica, legate tanto alla prestazione quanto all’organizzazione del lavoro.
Ma quali le sorti delle patologie stress lavoro-correlate in Italia? Più precisamente, quale tutela è corrisposta per le patologie che non dipendono strettamente dall’esecuzione della prestazione?
Il diritto vivente si è per lo più mostrato allineato all’interpretazione estensiva, raggiunta dal Legislatore. In più di una occasione infatti la Corte di Cassazione ha precisato che la tutela assicurativa interviene, non soltanto in presenza di un rischio specifico proprio della lavorazione, ma anche quando l’infortunio sia derivato da un rischio generico improprio, non strettamente insito nell’atto materiale della prestazione, ma collegato alla medesima, coinvolgente quindi il cosiddetto fattore ambientale del luogo di lavoro.
Più recentemente la Suprema Corte ha annullato una sentenza di merito, emessa dalla Corte territoriale adita, la quale aveva respinto la domanda di indennizzo di un lavoratore con riferimento ad una malattia professionale, identificata come “disturbo dell’adattamento con umore depresso ed ansia compatibili con una situazione lavorativa avversativa”, poiché il pregiudizio a livello psichico per situazioni di costrittività organizzativa non era oggetto di indennizzo a seguito dell’annullamento da parte del Consiglio di Stato della Circolare INAIL n. 71 del 17 dicembre 2013 e d. m. 134 del 2004. La Cassazione ha ribadito che la tutela assicurativa copre ogni forma di tecnopatia che sia conseguenza di attività lavorativa, anche se non inclusa nelle malattie e rischi tabellati (Cassazione civile, 11 ottobre 2022, n. 29515).
La Corte di Cassazione ha riconosciuto l’indennizzabilità di una malattia professionale, riconducibile allo stress, quale condizione psicosomatica, sviluppatosi a seguito di un numero eccessivo di ore di lavoro (Cassazione civile, 5 marzo 2018, n. 5066).
Con riferimento ad episodi di infarto la giurisprudenza non sempre è stata unanime: nel 2010 una pronuncia ha, ad esempio, rigettato richiesta di risarcimento a seguito infarto al miocardio, quale conseguenza di semplice stress ed affaticamento legato alla vita lavorativa, in quanto difficilmente qualificabile come una causa dell’evento mortale (Cassazione civile, 28 luglio 2010, n. 17649). Di poco seguente è altra sentenza, la quale, pur riconoscendo lo stress lavoro correlato ipotetica causa di infarto, ha sancito che in ogni caso debba innanzitutto procedersi all’accertamento della dipendenza di tale patologia da causa di servizio e successivamente che l’attività lavorativa abbia costituito di per sé un rischio specifico per l’insorgenza della patologia (Consiglio di Stato, 9 luglio 2012, n.4010).
La più recente pronuncia della Corte di Cassazione sul tema ha superato gli ostacoli alla corresponsione della tutela di cui alle pronunce citate, stabilendo che “In base alla normativa sull’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, allorché si discuta di infarto del miocardio occorso in occasione della prestazione lavorativa, anche lo stress psicologico e ambientale può integrare la causa violenta che può avere provocato la lesione mortale. L’infarto, dunque, configura infortunio sul lavoro quando è eziologicamente collegato ad un fattore lavorativo. La connessione non è peraltro esclusa dal contributo causale di fattori preesistenti o contestuali; sussiste, cioè, anche nel concorso di altre cause, ove pure queste abbiano origine diversa e interna” (Cassazione civile, 22 febbraio 2022, n.5814).
Alla luce degli ultimi approdi giurisprudenziali, ormai diretti nell’unica direzione di piena tutela in caso di patologie connesse allo stress lavoro-correlato, dimostrano – ancora una volta – la centralità dell’ambiente di lavoro. Il medesimo rappresenta un perno di attenzione per il datore, non solo in ottica primaria di salvaguardia della salute psico-fisica della persona del lavoratore nonché delle condizioni di lavoro, ma anche nella più economica prospettiva di gestione dei costi e rischi derivanti da sempre più frequenti giudizi.