A cura di Enrico Vella
Per effetto dell’attuazione della Direttiva (UE) 2019/1937, relativa alla protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione, comunemente nota come “Direttiva Whistleblowing”, avvenuta con il D.Lgs. 10 marzo 2023 n. 24, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.63 del 15.3.2023, è ormai operante nel nostro ordinamento un’articolata disciplina che impone al datore di lavoro privato di garantire ai propri dipendenti ed ai collaboratori il diritto di segnalare, in via riservata, non solo agli enti aziendali preposti ma anche ad un soggetto terzo indipendente (ossia l’ANAC, Autorità Nazionale Anticorruzione), le violazioni di disposizioni normative nazionali o europee che ledono gli interessi aziendali di cui i medesimi siano venuti a conoscenza in occasione della propria attività lavorativa o professionale, senza che ciò possa in alcun modo comportare ritorsioni da parte dell’azienda stessa. Il decreto rafforza i principi di trasparenza e responsabilità in materia di segnalazioni, con l’estensione (a partire dal 15.7.2023) del campo di applicazione alle aziende private con una media di più di 50 dipendenti, tutela in esser per il settore pubblico (art. 54-bis, D. Lgs. n. 165/2001) e per il settore privato riconducibile essenzialmente all’ambito del D.Lgs. n. 231/2001.
Nella parte II dell’allegato allo schema di decreto vengono individuati settori, come quello finanziario, ritenuti particolarmente “sensibili “ in cui la disciplina si applica a prescindere dalla soglia dell’organico aziendale.
L’istituto del “Whistleblowing”, pertanto, rientra oggi a tutti gli effetti nell’ambito della compliance aziendale, assumendo una rilevanza fondamentale tanto che l’ANAC può irrogare sanzioni amministrative pecuniarie che possono arrivare fino 50.000 Euro, per esempio quando si accerta che sono state commesse ritorsioni o quando la segnalazione è stata ostacolata o che si è tentato di ostacolarla o che è stato violato l’obbligo di riservatezza, o, ancora, quando non sono stati istituiti canali di segnalazione o, infine, quando non sono state adottate procedure per l’effettuazione e la gestione delle segnalazioni.
A ben vedere, la tutela di tale diritto deve essere garantita non solo in pendenza del rapporto di lavoro o di collaborazione, ma anche nella fase precontrattuale, durante i colloqui pre-assuntivi, nel periodo di prova e deve permanere anche dopo la cessazione del rapporto contrattuale.
Sotto il profilo soggettivo, una volta effettuata la segnalazione, le misure protettive si estendono automaticamente anche a coloro che hanno prestato assistenza alla persona segnalante (i c.d. “facilitatori”), a coloro che hanno uno stabile legame affettivo, ai parenti entro il quarto grado ed ai colleghi di lavoro.
Per prima cosa, tutti gli aventi diritto (sopra citati) devono essere informati in modo chiaro dei propri diritti, e devono essere messi nelle condizioni di poter segnalare, anche in via anonima, tramite i c.d. “canali di segnalazione” (interni aziendali o esterni tramite l’ANAC), i comportamenti, o atti o omissioni (e quindi illeciti amministrativi, contabili, civili o pensali, o condotte illecite in generale) che possono ledere l’interesse aziendale, di cui sono venuti a conoscenza nel contesto lavorativo.
La tutela si attiva a seguito della mera segnalazione, oppure a seguito della denuncia all’autorità giudiziaria o per effetto della divulgazione pubblica delle informazioni sulle violazioni.
Il datore di lavoro è chiamato, pertanto, a predisporre le procedure ed a definire i presupposti per effettuare le segnalazioni interne ed esterne, e darne informativa ed applicazione previo confronto con le rappresentanze sindacali o con le OO.SS. territoriali.
Le informazioni devono essere facilmente visibili nei luoghi di lavoro ed essere accessibili, non solo ai dipendenti ma anche a tutti coloro che intrattengono rapporti giuridici, dedicando anche sul proprio sito internet una sezione specifica. L’attivazione dei “canali si segnalazione” degli illeciti devono essere tali da garantire, anche tramite il ricorso a strumenti di crittografia, la riservatezza dell’identità della persona segnalante, della persona coinvolta e della persona comunque menzionata nella segnalazione, nonché del contenuto della segnalazione e della relativa documentazione.
La gestione del canale di segnalazione dovrà essere affidata a una persona o a un ufficio interno autonomo dedicato e con personale specificamente formato, ovvero essere affidata a un soggetto esterno, anch’esso autonomo e con personale specificamente formato (il c.d. “Responsabile per la prevenzione della corruzione e della trasparenza”). Detto ente dovrà raccogliere le segnalazioni in forma scritta, anche con modalità informatiche, oppure in forma orale; queste ultime potranno avvenire attraverso linee telefoniche o sistemi di messaggistica vocale ovvero mediante un incontro diretto.
La segnalazione fatta tramite i canali interni dà avvio ad una procedura, gestita dall’ente, in via riservata che deve concludersi entro il termine massimo di 3 mesi.
Come detto, il decreto in esame introduce anche la possibilità di effettuare segnalazioni esterne presso l’ANAC, quando:
a) non è prevista, nell’ambito del contesto lavorativo, l’attivazione obbligatoria del canale di segnalazione interna oppure questo, anche se obbligatorio, non è attivo o, anche se attivato, è carente sul piano delle garanzie;
b) la persona segnalante ha già effettuato una segnalazione interna e la stessa non ha avuto seguito;
c) la persona segnalante ha fondati motivi di ritenere che, se effettuasse una segnalazione interna, alla stessa non sarebbe dato efficace seguito oppure che la stessa segnalazione possa determinare il rischio di ritorsione;
d) la persona segnalante ha fondato motivo di ritenere che la violazione possa costituire un pericolo imminente o palese per il pubblico interesse.
A quel punto sarà l’ANAC ad avviare le procedure di verifica e definire l’esito delle indagini.
L’identità della persona segnalante, sotto qualsivoglia forma e modalità possa evincersi, diretta ed indiretta, non può essere rivelata; nell’ambito del procedimento penale la stessa è coperta da segreto.
Nell’ambito del procedimento disciplinare, invece, l’identità della persona segnalante non può essere rivelata, ove la contestazione dell’addebito disciplinare sia fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione, anche se conseguenti alla stessa.
Qualora, invece, la contestazione sia fondata, in tutto o in parte, sulla segnalazione e la conoscenza dell’identità della persona segnalante sia indispensabile per la difesa dell’incolpato, la segnalazione sarà utilizzabile ai fini del procedimento disciplinare solo in presenza del consenso espresso della persona segnalante alla rivelazione della propria identità.
La procedura di accertamento può prevedere anche l’audizione delle persone coinvolte.
Le condotte illecite devono essere fondate su elementi di fatto precisi e concordati. Conseguentemente, si esclude l’operatività delle tutele di legge nel caso in cui le segnalazioni non siano circostanziate ovvero effettuate per fini personali del segnalante (ad esempio una vendetta) o, ancora, in malafede.
La disciplina ha altri rilievi in ambito giuslavoristico, in quanto la stessa impone al datore di lavoro di non compiere una serie di atti ritorsivi, incluso il licenziamento quale reazione alla segnalazione (il decreto rivede la formulazione dell’art. 4 della Legge 604/66).
Superando il mero dettato normativo, l’adozione di un Piano di Prevenzione della Corruzione ben strutturato può rappresentare una grande opportunità, per esempio, per incrementare il punteggio nell’ambito dell’attribuzione del rating di legalità, o per acquisire benefici in termini di immagine, di reputazione e giuridici, o per ottenere importanti certificazioni UNI ISO che possono far acquisire vantaggi competitivi in sede di partecipazione a procedure di gara.