Lavoro intermittente sempre possibile in presenza (del solo) requisito anagrafico

Lavoro intermittente sempre possibile in presenza (del solo) requisito anagrafico

A cura di Ilaria Pitingolo

Con una recente pronuncia (sentenza n. 22086/2023), la Cassazione è intervenuta a chiarire il rapporto sussistente tra i requisiti richiesti dalla legge per il legittimo ricorso al contratto di lavoro intermittente.
Per meglio comprendere la soluzione interpretativa offerta dalla Suprema Corte occorre prendere le mosse dall’art. 13 del D.lgs. 81/2015 il quale, per quanto qui rileva, prevede che:
1. “Il contratto di lavoro intermittente è il contratto, anche a tempo determinato, mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa in modo discontinuo o intermittente secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi, anche con riferimento alla possibilità di svolgere le prestazioni in periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno. In mancanza di contratto collettivo, i casi di utilizzo del lavoro intermittente sono individuati con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali.
2. Il contratto di lavoro intermittente può in ogni caso essere concluso con soggetti con meno di 24 anni di età, purché le prestazioni lavorative siano svolte entro il venticinquesimo anno, e con più di 55 anni”.
La norma appone dunque due condizioni legittimanti l’assunzione mediante contratto intermittente: una definibile come oggettiva in base alla quale tale contratto può essere stipulato solo nei casi previsti dalla contrattazione collettiva o, in assenza, dall’autorità ministeriale e la seconda, definibile come soggettiva, connessa all’età anagrafica del lavoratore (meno di 25 anni o più di 55 anni di età).
Nel caso sottoposto al vaglio della Cassazione, la Corte d’Appello di Milano, nell’interpretare la norma di cui all’art. 13 aveva ritenuto che le due condizioni (oggettiva e soggettiva) dovessero necessariamente coesistere e dichiarato illegittimo un contratto di lavoro intermittente stipulato in assenza di uno solo dei due presupposti.
La società datrice di lavoro ricorreva in cassazione denunciando la violazione o falsa applicazione dell’art. 13, censurando la sentenza proprio laddove aveva erroneamente ritenuto la necessaria coesistenza dei due requisiti di legge.
Muovendo da un’analisi letterale del disposto normativo la Corte ha accolto il ricorso della Società statuendo che “le due condizioni legittimanti la stipulazione di un contratto di lavoro intermittente sono disgiunte e non necessariamente concorrenti (…omissis…) La scelta del legislatore di individuare due diverse tipologie di contratto di lavoro intermittente emerge con chiarezza ed univocità dal testo delle disposizioni normative e, pertanto, considerato il primato del criterio letterale dettato dall’art. 12 delle disp.prelim.c.c. – che, per il suo carattere di oggettività e per il suo naturale obiettivo di ricerca del senso normativo maggiormente riconoscibile e palese, rappresenta il criterio cardine nella interpretazione della legge e concorre alla definizione in termini di certezza, determinatezza e tassatività della fattispecie (sul punto, cfr. Cass. S.U. n. 23051 del 2022) – si palesa inammissibile ogni altra interpretazione”.
Ed è giunta a tali conclusioni compiendo la seguente chiara ed esaustiva esegesi del dettato normativo. L’art. 13, al comma 1 prevede – senza in alcun modo citare eventuali limiti di età – le esigenze ovvero i casi (c.d. causali) in cui sarebbe consentito utilizzare il lavoro intermittente.
Al comma 2 dispone poi che “in ogni caso” è consentito utilizzare il lavoro intermittente con lavoratori che, al momento dell’assunzione abbiano meno di 25 anni, o con soggetti che abbiano più di 55 anni.
L’utilizzo da parte del legislatore dell’espressione “in ogni caso” deve essere interpretato letteralmente come “in qualunque caso”, “qualunque sia l’esigenza”.
Ciò sta a significare che, con i soggetti con meno di 25 e più di 55 anni di età, può sempre essere stipulato un contratto intermittente anche a prescindere dal ricorrere delle esigenze di cui al comma 1. In altre parole, il legislatore ha espressamente disciplinato una potestà riservata al datore di lavoro nell’assunzione con contratto intermittente di tale categoria di lavoratori e ciò risulterebbe confermato anche dal fatto che l’espressione “in ogni caso” è preceduta dal verbo ausiliare “può”.
Ad ulteriore sostegno della correttezza di tale esegesi la Corte ha poi sottolineato che l’art. 15 del D.Lgs. n. 81/2015, quando enuclea i requisiti di forma del contratto di lavoro intermittente, prevede, tra i vari elementi, “durata e ipotesi, oggettivo o soggettive, che consentono la stipulazione del contratto”, facendo palese riferimento, con l’utilizzo della congiunzione “o”, all’esistenza di due diverse e distinte ipotesi di ricorso a tale tipologia contrattuale.
D’altronde, una diversa ed opposta interpretazione della norma si porrebbe in contrasto non solo con una corretta esegesi del dato letterale, ma anche con la ratio e con le finalità sottese all’introduzione dell’istituto del contratto di lavoro intermittente a-causale da intendersi quale strumento di flessibilità dedicato proprio a figure che, in ragione dell’età, potrebbero avere un difficile, o comunque svantaggiato, accesso al mondo del lavoro.
In definitiva, dunque, la disposizione di cui all’art. 13 del D.lgs. 81/2015, con il primo ed il secondo comma, detta chiaramente, senza che siano ammissibili diverse interpretazioni, due disgiunti presupposti per il ricorso al lavoro intermittente:
– da una parte, “in ogni caso” con i lavoratori in possesso del (solo) requisito soggettivo d’età;
– dall’altra, con i lavoratori sprovvisti di detto requisito, al cospetto del requisito oggettivo dettato dai CCNL o, in assenza, dalle disposizioni ministeriali.
Si deve rilevare che la stessa Corte di Cassazione, in una statuizione precedente (cfr. sentenza n. 28345/2020) ha sostenuto che il requisito anagrafico debba concorrere con le altre condizioni di natura oggettiva.
La pronuncia oggi in esame si pone in dichiarato contrasto con il precedente orientamento e denuncia lo stesso definendolo “un mero obiter dictum, non approfondito in quella sede in quanto non ha inciso nella decisione della controversia”.
Nonostante la chiarezza dell’interpretazione fornita dalla Corte, non può dunque escludersi che in futuro la questione torni a suscitare contrasti interni alla Giurisprudenza.

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