A cura di Anna Maria Corna
C’erano i contratti collettivi corporativi, che, sia per la parte normativa che economica, si dovevano applicare a tutti i lavoratori delle aziende che operavano in un determinato settore, ovvero erano erga omnes.
Sono stati in vigore da metà degli anni ’30, fino al 1944, quando con il venir meno del regime fascista sono state abrogate le leggi che li prevedevano e soppresse le corporazioni.
Peraltro la ricostituzione delle Organizzazioni sindacali dei lavoratori è avvenuta poco dopo (nel 1944 la CGIL e nel 1950 la CISL e la UIL). Nel frattempo la Carta Costituzionale (in vigore dal 1.1.1948) ha stabilito il diritto del lavoratore ad una “retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia una esistenza libera e dignitosa” (art. 36) e che la “organizzazione sindacale è libera”, prevedendo, però, anche la registrazione delle organizzazioni sindacali, che acquisiscono così “personalità giuridica”, per cui possono “rappresentati unitariamente in proporzione ai loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce” (art. 39), ovvero efficaci erga omnes.
Da allora e fino ad oggi nessuna OO.SS.LL. ha acquisito personalità giuridica (sono tutte associazioni non riconosciute) e tantomeno sono stati raccolti i dati sulla rappresentanza, nonostante ciò sia stato previsto anche nell’Accordo Interconfederale del 14 gennaio 2014, sottoscritto tra Confindustria e CGIL, CISL e UIL, c.d. Testo Unico sulla Rappresentanza, che regola la costituzione delle RSU.
Ma torniamo alla “Storia”, ovvero agli anni ’50 e ’60 (in pieno Piano Marshall), con un notevole sviluppo in tutti i settori economici, ma ben poche “regole”, anche se, a dire il vero, i Sindacati avevano fatto il loro mestiere, sottoscrivendo CCNL per pressochè tutti i comparti, basti ricordare l’Accordo Interconfederale Industria del 1946, il CCNL per i dipendenti delle aziende Commerciali del 1950, i CCNL per i Dirigenti (Industria del 1948 e Commercio del 1957) e – ça va sans dire – il CNLG per i giornalisti del 1959, che tuttavia venivano applicati ad un numero ridotto di lavoratori, in genere solo dipendenti da aziende medio-grandi.
In questa situazione il Governo, con Legge n. 741/1959, è stato “delegato ad emanare norme giuridiche, aventi forza di legge, al fine di assicurare minimi inderogabili di trattamento economico e normativo nei confronti di tutti gli appartenenti ad una medesima categoria”, di fatto dando applicazione ai CCNL già vigenti, con la previsione altresì che “I trattamenti economici e normativi minimi, contenuti nelle leggi delegate, si sostituiscono di diritto a quelli in atto, salvo le condizioni, anche di carattere aziendale, più favorevoli ai lavoratori” (N.B. norme queste tutt’ora in vigore).
Tra il 1960 e il 1962 sono stati emanati numerosi D.P.R., che hanno reso erga omnes i CCNL dei maggiori settori produttivi (V. tutti i CCNL sopra indicati, ma anche altri); CCNL erga omnes che ancora oggi vengono richiamati dalla giurisprudenza, con riferimento alle parti normative, essendo ovviamente ormai irrisori i minimi tabellari dell’epoca. E torniamo a noi: Parti politiche e Sindacali chiedono di nuovo al Governo di intervenire, rendendo, per legge, obbligatorio uno stipendio minimo per tutti i lavoratori.
L’importo indicato è di € 9,00 lorde all’ora, ovvero l’importo previsto dai CCNL più diffusi (per es. metalmeccanici privati e Terziario) per figure professionali che riguardano la maggior parte degli addetti di quel settore (V. 4° e 3° livello nel Terziario, livelli D2 e C1 metalmeccanici privati e 3° livello Trasporti e Logistica, che oscillano tra € 1.618,00 e 1.822,00 lordi mensili, con quindi una paga oraria di poco superiore a € 9/ora).
Tuttavia vi sono anche figure professionali con oggettivamente ridottissima professionalità, per cui sono previste retribuzioni inferiori, così come CCNL con paghe orarie mediamente più basse, in gran parte giustificate per tipologie di lavoro molto operative.
Prevedere l’obbligo anche per questi lavoratori e per ogni settore, qualsiasi sia la professionalità del lavoratore, a € 9/ora vorrebbe dire far innalzare in tempi brevi tutte le retribuzioni, con effetti poco prevedibili, ma certo non di incremento dell’occupazione o di sviluppo delle imprese.
Dall’altro lato neppure si può negare che alcune retribuzioni possano prestare il fianco a critiche e vi è poi una popolazione di lavoratori a cui non viene applicato alcun CCNL (mi consta ad oggi non censita, ma ipotizzata, in base ai dati CNEL, di circa 700/800mila lavoratori), senza ovviamente parlare della piaga del lavoro nero.
In questa situazione un salario minimo garantito dovrebbe per forza essere inferiore ai € 9/ora, ma allora perché fissarlo per legge?, non sarebbe meglio se i Sindacati tornassero a fare il loro mestiere, cercando di arrivare ad elevare, ma diversificando in base ad esperienza e professionalità, le retribuzioni ritenute inadeguate? Ciò considerando anche che il nostro Paese è ben diverso tra Nord e Sud e anche tra Nord- Est e Centro Sud, per cui una retribuzione adeguata a Messina, non lo è a Milano, né nelle altre grandi città di Lombardia, Piemonte, Emilia – Romagna o Toscana, ma magari lo è a Cremona, o in altre piccole città di provincia, dove dalle abitazioni (da acquistare o in affitto) ad ogni altro bene primario i prezzi sono di gran lunga inferiori. Si dovrebbe quindi tornare ai contratti economici Provinciali, che vi sono stati, per es. a Milano negli anni ’60, e che prevedevano una retribuzione maggiore rispetto i minimi tabellari del CCNL.
Ipotesi avanzata anni orsono anche dal prof. Pietro Ichino, che tutt’ora suggerisce la necessità di diversificare in base alle aree territoriali e che può essere l’unica effettiva soluzione, per arrivare ad una retribuzione equa e, nel contempo, coerente con una struttura di impresa presente in determinate aree, ma non in altre.
Il Governo, potrebbe accelerare e supportare questo processo, con maggiori sgravi contributivi e/o fiscali e magari tramite il welfare, laddove vi siano contratti territoriali, sottoscritti dalle OO.SS.LL. che già hanno firmato il CCNL di settore, favorendo così anche la funzione sindacale, a cui ormai da 50 anni compete la determinazione dei minimi tabellari e che non dovrebbe oggi chiedere di nuovo supplenza al Governo.