A cura di Enrico Vella
Con l’ordinanza n. 24722/2022 dell’11.8.2022, la Suprema Corte di Cassazione, esprimendosi in merito alla legittimità di un licenziamento irrogato per scarso rendimento, coglie l’occasione per porre l’accento su un principio di diritto e su una norma dello Statuto dei Lavoratori, che, alla luce dell’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 104/22 (ormai noto con il nome di “Decreto Trasparenza”), sembrano essere particolarmente attuali.
Infatti, nel solco del prevalente orientamento giurisprudenziale, viene evidenziato che il datore di lavoro deve rendere note preventivamente ed in modo chiaro e trasparente a tutti i lavoratori le norme comportamentali (tra cui anche quelle organizzative e tecnico-produttive) che potrebbero avere una rilevanza sul piano disciplinare, tramite l’affissione, in un luogo accessibile a tutti, del c.d. Regolamento Disciplinare.
La vicenda che aveva portato all’adozione del più severo dei provvedimenti disciplinari muoveva dal fatto che il lavoratore, nel corso di circa due anni, aveva ricevuto varie contestazioni per scarso rendimento e correlati provvedimenti disciplinari di sospensione dal servizio e dalla retribuzione, che avevano poi portato, anche in ragione della recidiva, al licenziamento.
Il recesso dal rapporto di lavoro veniva giustificato dalla “voluta lentezza nello svolgere la mansione affidata”, unitamente al comportamento ripetuto e protratto nel tempo.
Nel corso del primo grado di giudizio (sia in fase sommaria che nella successiva fase di opposizione, trattandosi di “rito Fornero”), il licenziamento era stato ritenuto legittimo, avendo il Tribunale accertato che effettivamente il lavoratore, nel corso del tempo, aveva lavorato con un rendimento pari o inferiore al 50% rispetto alla media del reparto di appartenenza.
La decisione del Tribunale veniva impugnata dinnanzi alla Corte di Appello di Roma la quale, approfondendo alcuni aspetti giuridici, riteneva, per contro, che il licenziamento dovesse essere dichiarato illegittimo, in quanto non era stata fornita la prova da parte del datore di lavoro dell’avvenuta predisposizione ed affissione del Regolamento Disciplinare.
La Corte di Appello, infatti, sottolineava che il comportamento oggetto di contestazione non rientrava nell’ambito di meri obblighi fondamentali del lavoratore (il c.d. “minimo etico”), bensì era da collegarsi ad una specifica regola tecnica di produttività in quanto “legata ad un determinato standard medio fissato dall’azienda in base alla propria organizzazione produttiva e alla media raggiunta dagli altri dipendenti con identiche mansioni”.
In ragione della specificità di tale disposizione, il datore di lavoro avrebbe dovuto informare preventivamente il lavoratore circa la rilevanza disciplinare di tale prescrizione, nell’ambito del Regolamento Disciplinare, e ciò a norma dell’articolo 7 dello Statuto dei Lavoratori.
La questione veniva sottoposta al vaglio della Suprema Corte di Cassazione, con particolare riferimento al profilo dell’assolvimento dell’onere della prova.
In questo contesto, gli Ermellini, confermando la corretta interpretazione seguita dalla Corte di Appello di Roma, hanno colto l’occasione per ribadire la centralità che riveste il Regolamento Disciplinare nell’ambito del rapporto di lavoro e la necessità che il medesimo, ai sensi dell’art. 7, comma 1, dello Statuto dei Lavoratori, venga predisposto e portato a conoscenza dei lavoratori, in via preventiva.
La normativa aziendale, in questo modo, consente di fissare il limite di condotta che il lavoratore non può oltrepassare.
La sentenza in esame si inserisce ormai nel solco del prevalente indirizzo giurisprudenziale che conferma l’illegittimità della sanzione irrogata in mancanza del Regolamento Disciplinare, nei casi in cui le infrazioni non discendano dalla violazione di norme penali o non contrastino con il c.d. “minimo etico”. In questi ultimi casi, infatti, il licenziamento sarebbe certamente legittimo anche se il relativo comportamento su cui si fonda non è espressamente sanzionato nel codice disciplinare.
Grava allora sul datore di lavoro l’onere di informare i dipendenti sulle norme comportamentali presenti in azienda; a tal fine, non saranno sufficienti generiche previsioni, e le disposizioni dovranno essere opportunamente pubblicizzate e sottoposte ad aggiornamento periodico.
Ciò riguarda anche tutte le policy aziendali in generale, come, per esempio, quelle inerenti all’uso dei social network, delle e-mail ed degli strumenti informatici sui luoghi di lavoro, che ormai sono sempre più spesso al centro delle sentenze in tema di licenziamenti e sanzioni disciplinari.
Come detto, il tutto naturalmente ha un limite; infatti, se la violazione è così grave da porsi in contrasto con gli obblighi di diligenza e fedeltà dettati dagli articoli 2104 e 2105 del Codice Civile o da altre leggi nazionali (come per esempio quelle in materia penale), l’esigenza informativa è garantita dalla stessa pubblicità delle fonti normative.
In sede giudiziaria, sarà il datore di lavoro a dover dimostrare che il lavoratore era stato messo a conoscenza del Regolamento Disciplinare. Per questo motivo, non è un caso che molte aziende, al momento dell’assunzione, consegnino al lavoratore, e facciano da questi sottoscrivere per ricevuta, una copia del codice disciplinare.
In questo contesto, la pronuncia in esame si distingue per il fatto che chiarisce che lo scarso rendimento di un lavoratore non rientra nell’ambito del citato “minimo etico”; la volontaria e ripetuta scarsa produttività del dipendente, pertanto, non può, ad avviso dei Giudici del “Palazzaccio”, integrare una generica violazione del dovere di correttezza e diligenza.
L’ordinanza in commento, come si diceva, in questo particolare momento in cui è ormai entrato in vigore il c.d. “Decreto Trasparenza”, pare degna di una particolare attenzione.
Infatti, i principi ivi espressi sembrano richiamare quelli di trasparenza e chiarezza che il Legislatore nazionale, con il Decreto Legislativo 104/2022, in recepimento della direttiva europea n. 2019/1152, ha voluto introdurre in modo severo nell’ambito del rapporto di lavoro e su cui, proprio in questi giorni, si sta lungamente discutendo, anche alla luce della circolare n. 4 del 10 agosto 2022 adottata dall’Ispettorato nazionale del lavoro d’intesa con l’ufficio legislativo del ministero del Lavoro.
A tal proposito, giova ricordare che, secondo le indicazioni fornite dall’Ispettorato, le informazioni inerente alla disciplina del rapporto di lavoro, aggiuntive rispetto a quelle oggetto di accordo tra le parti, potranno essere comunicate con una nota aggiuntiva, contenente anche solo un mero rinvio alla normativa generale (in primis, a quella contenuta nel CCNL applicato), purché quest’ultima venga contestualmente consegnata in copia al lavoratore ovvero gli venga messa a disposizione secondo le prassi aziendali.
A prescindere dalle semplificazioni operative che sicuramente agevolano le incombenze, è indubbio che sia la “Direttiva Trasparenza” che l’ordinanza della Corte di Cassazione in esame invitano le aziende a curare il più possibile, fin dall’assunzione, lo scambio di informazioni con i propri dipendenti, in modo da metterli nelle condizioni di ben conoscere le regole che disciplinano il loro rapporto, nonché i loro diritti e doveri, tra cui anche quelli che potrebbero portare al licenziamento.
Come si suol dire: “patti chiari, amicizia lunga!”