A cura di Anna Maria Corna e Matilde Agogeri
Un ex lavoratore, dopo la violazione del patto di concorrenza sottoscritto con l’ex datrice di lavoro, ne eccepiva la nullità per eccessiva estensione territoriale e dell’oggetto, indeterminatezza del corrispettivo e possibile recesso unilaterale della parte datoriale.
In tema di lavoro subordinato, la Corte ricorda i requisiti per la validità del patto di non concorrenza: forma scritta, limiti di oggetto, di durata (in ogni caso non superiore a 5 anni per i dirigenti e 3 per le altre categorie di lavoratori) e territoriali, e previsione di un corrispettivo proporzionato (v. art. 2125 co. 1 c.c.).
Non contestatane la forma, la Corte si sofferma, in particolare, sulla ratio fondante i limiti al divieto di concorrenza: da un lato, la necessità è quella di garantire al datore tutela “dagli effetti negativi derivanti da radicamento territoriale e fidelizzazione soggettiva della prestazione lavorativa originariamente resa nel suo interesse” e, dall’altro, di non “compromettere l’esplicazione della concreta professionalità del lavoratore, pregiudicandone ogni potenzialità reddituale” (cit. Cass. civ., Sez. lavoro, Ord. 01/03/2021, n. 5540). La congruità di un tale patto deve valutarsi caso per caso, in relazione agli effetti concreti e complessivi della triangolazione oggetto-durata-area territoriale interessata.
Nel caso di specie, nessuno dei predetti limiti risultava sproporzionato:
- l’oggetto riguardava le mansioni svolte dal dipendete e “ogni attività in potenziale concorrenza con quella del datore di lavoro”, comprendendo, di fatto, non più che il “settore Private Banking/Wealth Management”;
- il periodo era di 10 mesi dalla conclusione del rapporto di lavoro (nel rispetto, quindi, dei limiti codicistici – v. art. 2125 co. 2 c.c. – che prevedono un limite temporale di 3 anni, 5 per i dirigenti);
- territorialmente, l’estensione era in due Regioni italiane “ovvero quella diversa Regione ove risulti ubicata la sede di lavoro in atto al momento della cessazione del rapporto di lavoro ed anche quella diversa precedente, ove la diversa assegnazione sia intervenuta da meno di due anni)”.
Di fatto, l’ex dipendente “avrebbe potuto lavorare in qualunque attività bancaria diversa dall’intermediazione finanziaria su tutto il territorio nazionale e svolgere attività di intermediazione finanziaria fuori Piemonte e Liguria”.
Nondimeno, il corrispettivo quantificato nel 10% della RAL, con l’ulteriore garanzia di un “importo minimo garantito, laddove il rapporto di lavoro del medesimo fosse cessato prima che fossero decorsi tre anni dal primo mese di erogazione della suddetta indennità”, è da classificarsi adeguato ai predetti limiti.
In conclusione, il patto di non concorrenza, quale deroga alle previsioni di cui agli artt. 4 e 41 Cost., può essere sottoscritto fin tanto che non impedisca al lavoratore di “spendersi utilmente sul mercato”. Nel rispetto di ciò, il datore di lavoro può ben prevedere clausole che gli garantiscano l’“attualità del vincolo nel corso di un rapporto di lavoro in divenire” senza pregiudizio di quanto già maturato dal lavoratore. Così, la società datrice può riservarsi la possibilità di recedere unilateralmente dal patto a seguito dell’avvenuto mutamento delle mansioni, in quanto tale azione è destinata ad operare ex nunc, con effetti liberatori per il lavoratore e senza alcuna ripercussione sul corrispettivo dallo stesso nel frattempo percepito.
La Corte d’Appello di Milano, confermando la decisione presa dal Tribunale di Milano, respinge l’appello del lavoratore, dichiarando la validità del patto di non concorrenza oggetto di valutazione.