A cura di Luca D’Arco
La Suprema Corte di Cassazione con la decisione n. 22077 del 24 luglio 2023 ha ritenuto illegittimo il licenziamento irrogato ad un dipendente che era denunciato e sottoposto agli arresti domiciliari per maltrattamenti reiterati al partner, disponendo la reintegra dello stesso in azienda.
Più precisamente, il lavoratore era stato licenziato per giusta causa a seguito della contestazione disciplinare mossagli a seguito della denuncia presentata dalla di lui convivente per maltrattamenti, ingiurie e lesioni personali, nonché in ragione della misura cautelare degli arresti domiciliari cui era stato sottoposto, nonché dei contenuti dell’ordinanza del GIP dalla quale erano emersi plurimi , reiterati ed abituali atteggiamenti violenti e prevaricatori da parte del lavoratore nei confronti della convivente ed ancor prima della ex moglie, nella maggior parte dovuti a futili motivi.
Nella contestazione disciplinare alla base del successivo licenziamento la condotta tenuta dal lavoratore veniva altresì richiamata oltre che come fatto in sé gravemente lesivo degli interessi morali del datore di lavoro e del vincolo fiduciario, anche in relazione al timore che il lavoratore avrebbe potuto ritenere comportamenti analoghi anche all’interno dello stabilimento, soprattutto nei confronti del personale femminile considerata la accertata indole violenta e minacciosa, nonché in relazione al rilevante discredito sociale dei comportamenti tenuti dal lavoratore ed al grave nocumento che avrebbero potuto determinare all’immagine della società.
La Suprema Corte ha confermato la decisione dei giudici di appello escludendo la giusta causa di licenziamento uniformandosi al proprio orientamento secondo cui la condotta extralavorativa assume rilevanza disciplinare solo quando abbia un riflesso, anche soltanto potenziale ma comunque oggettivo, sulla funzionalità del rapporto compromettendo le aspettative di un futuro puntuale adempimento dell’obbligazione lavorativa, in relazione alle specifiche mansioni o alla particolare attività svolta dal dipendente licenziato.
Nel caso esaminato, i giudici di legittimità hanno ritenuto che “pur se deprecabile la condotta del lavoratore non è in grado di influire sul rapporto di lavoro neppure in via indiretta”.
Ciò in quanto, sin dalla sua assunzione (avvenuta nel 1988) non era mai stato sottoposto a precedenti procedimenti disciplinari, né erano stati dedotti precedenti eventuali episodi di violenza in ambito aziendale.
Inoltre non erano stati dedotti elementi dai quali poter trarre il timore da condotte violente o minacciose verso colleghi di lavoro o che potessero compromettere la loro sicurezza sul luogo di lavoro, ritenendo i Giudici di legittimità indimostrata la contestata incompatibilità del lavoratore con le mansioni svolte e l’ambiente di lavoro cui era inserito.
Con riguardo invece all’asserito discredito prodotto a danno della società, la Corte di Cassazione ha, poi, ritenuto che mancasse la prova sostenendo da un lato che non vi fosse stata alcuna diffusione locale o mediatica della notizia e che comunque non risultava dimostrata alcuna lesione degli interessi di parte datoriale nella loro oggettività soprattutto in considerazione di un episodio che seppur illecito aveva comunque carattere extra lavorativo e riguardava un lavoratore era un operaio di una linea produttiva di lastroferrature di un’azienda metalmeccanica e quindi anche privo di qualsivoglia contatto con il pubblico o terzi.
Tale decisione è sostanzialmente conforme ad altri (discutibili) precedenti della Suprema Corte che hanno escluso la rilevanza di condotte extralavorative quand’anche integranti illeciti penali anche gravi o eclatanti, laddove non abbiano riflesso oggettivo sulla funzionalità del rapporto a causa della compromissione dell’aspettativa datoriale circa le aspettative di un futuro puntuale adempimento dell’obbligazione lavorativa, in relazione alle specifiche mansioni o alla particolare attività svolta, quali ad esempio il caso di un lavoratore arrestato perché in possesso di stupefacenti in quantità superiore a 5 volte la soglia massima consentita per uso personale (si veda da ultimo Cass. n. 5599 del 23 febbraio 2023, che ha ritenuto illegittimo il licenziamento e disposto la reintegrazione del lavoratore, in quanto semplice operaio di linea e nonostante della notizia dell’arresto e del motivo fosse stato dato risalto dalla stampa locale, anche con riferimento all’appartenenza ad una nota azienda della zona).