A cura di Claudio Ponari
Con la sentenza n. 16875 del 13 giugno 2023 la Sezione tributaria della Corte di Cassazione si è pronunciata a proposito dell’ambito applicativo dell’art. 33 del D.L. 78/2010, convertito in legge 122/2010 con una decisione che è destinata ad avere effetti importanti tanto per le aziende, quanto per i dirigenti ed amministratori.
Più precisamente, la sentenza ha enunciato il principio secondo cui l’imposta addizionale del 10%, prevista dall’anzidetta norma, trattenuta dal sostituto di imposta al momento dell’erogazione degli emolumenti che eccedono il triplo della parte fissa della retribuzione riconosciuti ai dirigenti, agli amministratori ed ai titolari di rapporti di collaborazione continuativa e coordinata a titolo di bonus e stock option, si applica nei confronti dei dirigenti delle imprese operanti nel settore finanziario globalmente inteso, ricomprendendo anche le holding industriali. Iniziando dal principio giova ricordare che detta norma, in vigore dal 17 luglio 2011, intitolata “Stock Option ed emolumenti variabili”, ha introdotto una disciplina specifica concernente la tassazione dei compensi erogati ai dirigenti, agli amministratori ed ai titolari di rapporti di collaborazione continuativa e coordinata.
La ratio sottostante tale disposizione è stata ricostruita dalla S.C. che ricorda come la stessa si inserisca nel contesto della crisi finanziaria verificatasi tra il 2006 ed il 2009. In tale periodo, infatti, a causa della cartolarizzazione indiscriminata, le entità finanziarie poterono espandere in modo significativo le attività in rapporto al capitale proprio (cd. fenomeno del leverage), realizzando profitti molto elevati, ma rischiando in pari tempo di essere soggette a perdite ingenti, determinate dal fatto che si rientrava in tempi molto rapidi nella disponibilità del denaro prestato, che dette entità potevano utilizzare per erogare nuovi finanziamenti a clienti la cui affidabilità veniva valutata in maniera sempre meno accurata.
Ricorda la S.C. come le entità più coinvolte registrarono pesanti perdite e si susseguirono vari declassamenti del merito di credito di titoli cartolarizzati, ma tali titoli, ormai ampiamenti diffusi sul mercato, persero ogni valore e diventarono illiquidabili, costringendo le società veicolo a chiedere fondi alle banche che li avevano emessi e che avevano garantito linee di liquidità. La crisi determinò turbolenze senza precedenti che si estesero all’intero sistema economico.
Per evitare che tale crisi potesse ripetersi e per combattere “la creazione di un metodo di incentivi distorto e deresponsabilizzante” l’organismo di consultazione economica mondiale del G-20, produsse il 24 Settembre del 2009 un “Leader’s Statement” che prevedeva la necessità di “intervenire sul sistema di regolamentazione finanziaria globale, con riferimento a tutte le imprese il cui operato potrebbe rappresentare un rischio per la stabilità finanziaria”. A tal fine si prospettò la necessità di allineare la remunerazione dei dirigenti alla creazione di valore a lungo termine e non all’assunzione di rischi eccessivi e, di conseguenza, anche a limitare la retribuzione variabile del top management per garantire il mantenimento di una solida base patrimoniale ed aumentare la stabilità finanziaria (come prospettato nella riunione informale dei Capi di Stato o di governo dell’UE tenutasi a Bruxelles il 17 settembre 2009).
In recepimento di tali raccomandazioni il legislatore è intervenuto con l’art. 33 del D.L. 78/2010 che ha dato luogo a importanti problematiche interpretative soprattutto (ma non soltanto) nella parte in cui definisce il suo ambito applicativo, riferendosi, genericamente, al settore finanziario.
In particolare, si è immediatamente verificato un contrasto tra l’interpretazione adottata dall’Agenzia delle Entrate e quella della giurisprudenza.
Infatti, mentre la prima ha da subito ritenuto che il settore finanziario comprendesse anche le “holding che assumono e/o gestiscono partecipazioni in società finanziaria, creditizie o industriali” (così Circolare A.d.E. 15 febbraio 2011 e risposta ad Interpello del 13 dicembre 2018), la seconda si era invece attestata su una diversa interpretazione, giudicando impattati i soli soggetti che svolgessero attività nei confronti del pubblico, escludendo dal prelievo tributario i dirigenti (e gli amministratori ed i titolari di rapporti di collaborazione continuativa e coordinata) di holding industriali anche nel caso in cui detenessero partecipazioni in società operanti nel settore finanziario (in questo senso Cassaz. 19 ottobre 2020, n. 22692 e Cassaz. 8 febbraio 2022, n. 3913). In questo contesto, “arricchito” da una risposta del Governo Draghi all’interrogazione Parlamentare formulata in data 12 gennaio 2022, favorevole a limitare l’ambito applicativo della norma alle imprese considerate dall’art. 162 bis del Tuir (che reca la definizione degli intermediari finanziari, ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive) è poi intervenuta la sentenza in commento che ha completamente ribaltato il precedente orientamento, aderendo alla prospettazione dell’Agenzia delle Entrate.
Più precisamente, la sentenza ha enunciato il seguente principio di diritto: “L’imposta addizionale prevista dall’art. 33 del D.L. 78 del 2010, conv. in L. 122 del 2010 – trattenuta dal sostituto di imposta al momento dell’erogazione degli emolumenti riconosciuti ai dirigenti sotto forma di “bonus” e “stock option” quando detti compensi eccedano la parte fissa della retribuzione si applica nei confronti dei dirigenti delle imprese operanti nel settore finanziario, con clausola generale riferita al settore finanziario inteso nella sua globalità e complessità, sì da ricomprendere anche soggetti non necessariamente sottoposti a vigilanza e/o che svolgano attività rivolta al pubblico, stante la ragione socio-economica di un intervento diretto a comprendere tutti quegli attori di compagini che, essendo attive sulla scena finanziaria, sono in grado direttamente o indirettamente, di indurne tensioni pregiudizievoli per effetto di abnormi incentivi retributivi, laddove riguardo alla disposizione di riferimento, eventuali riscontri extra-testuali – derivanti da fonti nazionali, europee e internazionali – possono rivestire solo il ruolo di indici rivelatori esemplificativi, ma non esaustivi della fattispecie tributaria interna (nella specie la Corte ha ritenuto che rientrino in essa le holding industriali)”. Secondo detta pronuncia l’ambito applicativo soggettivo della norma non può essere ricavato da altre disposizioni normative non espressamente richiamate. L’impatto dell’addizionale non può essere limitato, come giudicato dalla precedente giurisprudenza, alle sole società che svolgano attività rivolte al pubblico (e, in quanto tali soggette ad autorizzazione e controllo da parte del Ministero dell’Economia, della Banca d’Italia e della Consob) dal momento che “la potenziale attitudine a produrre, se stimolati dalla conseguente maggior remunerazione variabile, effetti economici potenzialmente distorsivi, non appare esclusiva dei dirigenti di banche e degli intermediari finanziari, potendo ravvisarsi anche nei dirigenti di grandi gruppi industriali e delle holding industriali e finanziarie, che..(omissis)..possono generare il medesimo pericolo attraverso l’acquisto e la vendita di partecipazioni, l’acquisto di prodotti finanziari di rischio elevato o il ricorso a strategie finalizzate a far salire o scendere il valore di un titolo”. La sentenza ha, viceversa, aderito ad un’incerta nozione socio-economica di settore finanziario atta a ricomprendere nella sua globalità “tutti quegli attori di compagini .. che, essendo attive sulla scena finanziaria, sono in grado, direttamente o indirettamente, di indurne tensioni pregiudizievoli per effetto di abnormi incentivi retributivi”. Sinteticamente, nella prospettazione accolta dalla S.C. i requisiti per l’applicazione della disciplina tributaria de qua sono individuati per un verso dal percepimento di retribuzioni variabili (la norma menziona i bonus e le stock option, ma, come si vedrà, l’interpretazione dell’A.d.E. è molto più estesa) e per altro verso dalla partecipazione dell’impresa al settore finanziario inteso in senso lato.
Ebbene, se si pone attenzione, com’è necessario, ad entrambi tali aspetti è agevole prevedere che, in assenza di auspicabili e necessari interventi normativi chiarificatori, l’affermarsi di un siffatto orientamento è destinato a creare notevoli problemi applicativi in considerazione dell’indeterminatezza di entrambi i requisiti e della circostanza che il nuovo orientamento potrebbe dare origine ad un contenzioso di recupero dell’A.d.E. rispetto a pagamenti già effettuati nella vigenza della normativa e gestiti in conformità all’interpretazione (restrittiva) che sino ad oggi era risultata essere del tutto prevalente nella giurisprudenza.
Al di là, infatti, dell’ambito soggettivo di applicazione della norma, che resta incerto, in considerazione del principio di diritto adottato, che, per vero lascia perplessi laddove la S.C. giudica corretto il richiamo ad una nozione “socio-economica” di settore finanziario in un ambito come quello impositivo che ha invece necessità di formulazioni chiare ed inequivoche (non essendo, ad esempio, consentito il ricorso all’analogia), non può infatti non considerarsi che l’Agenzia delle Entrate, nella risposta all’interpello 11/2022, ha affermato che “riguardo la retribuzione imponibile….il presupposto per l’applicazione dell’addizionale è l’articolazione della retribuzione in una parte fissa e in una parte variabile e che i compensi da assoggettare all’aliquota addizionale devono essere individuati sulla base delle pattuizioni contrattuali senza tener conto, pertanto, della rilevanza fiscale delle varie componenti retributive, né del criterio temporale di individuazione del momento impositivo. In particolare, occorre considerare le componenti retributive fisse previste dal contratto di lavoro o di collaborazione (al lordo quindi delle ritenute fiscali e previdenziali) e raffrontarle con la retribuzione variabile maturata per il medesimo anno”. Nel medesimo documento l’A.d.E. ha anche aggiunto, come corollario, che “attesa la formulazione generica della norma rientrano tra gli emolumenti premiali erogati sotto forma di stock option tutte le forme di incentivazione realizzate con azioni” e che “per quanto riguarda le componenti reddituali su cui applicare l’addizionale, tenuto conto dell’evoluzione delle politiche retributive che si sono consolidate nel corso degli anni, nel concetto di bonus di cui all’articolo 33 in esame, rientrano le remunerazioni la cui erogazione è subordinata al verificarsi di determinate condizioni che possono riguardare sia il raggiungimento di determinati obiettivi sia il rispetto di determinati parametri” con una formula che si presta a ricomprendere molteplici erogazioni (ad esempio vi potrebbero rientrare non soltanto le erogazioni definite “short term incentive” (STI) e, quindi, i bonus, ma anche le erogazioni legate a “long term incentive plans” (LTI) che nella pratica corrente sono legate ad un mix di obiettivi individuali e aziendali, quando non di Gruppo). Non è tutto, secondo l’A.d.E tra gli importi che potrebbero venire in rilievo “…devono essere ricompresi anche quelli corrisposti per la conclusione di patti di non concorrenza di cui all’art. 2125 del codice civile e di patti per il prolungamento del preavviso, in quanto gli stessi non sono riconosciuti a tutti i dipendenti, ma sono riconosciuti solo ad alcuni di essi in relazione alla loro posizione all’interno dell’azienda e su base discrezionale, inoltre in caso di mancato rispetto di tali patti può essere richiesta al dipendente la restituzione delle somme erogate in aggiunta alla penale”.
In punto, non si può esimere dal rilevare come l’ A.d.E sembri voler estendere regolamentazioni proprie dell’ordinamento bancario tratte dalla circolare della Banca d’Italia del 17 dicembre 2013, n. 285, che definisce la remunerazione variabile come quella “…il cui riconoscimento o la cui erogazione potrebbero modificarsi in relazione alla performance, comunque misurata (obiettivi di vendita, volumi etc), o ad altri parametri (periodo di permanenza)”, considerando rilevanti addirittura “gli importi pattuiti tra la Banca ed il personale in vista o in occasione della conclusione anticipata del rapporto di lavoro o per la cessazione anticipata dalla carica, indipendentemente dal titolo, dalla qualificazione giuridica e dalla motivazione economica per i quali sono riconosciuti. Tra questi importi sono inclusi quelli riconosciuti a titolo di patto di non concorrenza”.
Ebbene, a prescindere dalla correttezza di siffatta assimilazione e dalla riconducibilità di tali erogazioni ai concetti di “bonus” e/o di “stock option”, menzionati dalla norma, che appare quantomeno opinabile in ambiti diversi da quello bancario, è ragionevole ipotizzare che l’ampiezza sia dell’interpretazione adottata dall’A.d.E che dell’ambito applicativo della norma, potrebbe dar luogo ad un contenzioso di recupero nei confronti di quei soggetti che, sul ragionevole affidamento di non essere destinatari della norma in commento, hanno dapprima raggiunto intese e successivamente applicato le trattenute di imposta in modo difforme rispetto alle prescrizioni dell’art. 33 del D.L. 78/2010.
E’ dunque senza dubbio auspicabile che le incertezze innanzi descritte possano essere risolte con un intervento normativo che, ad esempio, sulla falsariga di quanto già prospettato ad esempio dal Governo Draghi, vada a restituire certezza agli operatori, definendo con maggiore puntualità, equilibrio ed obiettività l’ambito soggettivo di riferimento della norma e le remunerazioni impattate, senza dover attendere un pronunciamento delle Sezioni Unite che altrimenti si profila come indispensabile.
Così testualmente la norma: “1. In dipendenza delle decisioni assunte in sede di G20 e in considerazione degli effetti economici potenzialmente distorsivi propri delle forme di remunerazione operate sotto forma di bonus e stock options, sui compensi a questo titolo, che eccedono il triplo della parte fissa della retribuzione, attribuiti ai dipendenti che rivestono la qualifica di dirigenti nel settore finanziario nonché ai titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa nello stesso settore è applicata una aliquota addizionale del 10 per cento.
2. L’addizionale è trattenuta dal sostituto d’imposta al momento di erogazione dei suddetti emolumenti e, per l’accertamento, la riscossione, le sanzioni e il contenzioso, è disciplinata dalle ordinarie disposizioni in materia di imposte sul reddito.
2-bis. Per i compensi di cui al comma 1, le disposizioni di cui ai commi precedenti si applicano sull’ammontare che eccede l’importo corrispondente alla parte fissa della retribuzione”.