
A cura di Angelo Digioia
La Corte d’Appello di Milano ha fatto chiarezza sulla possibilità di far valere in via disciplinare una condotta omissiva, ritenendo legittimo il licenziamento per giusta causa comminato da un’azienda sanitaria a un dirigente apicale a seguito di un articolato procedimento disciplinare.
Il caso posto all’attenzione della Corte milanese riguarda un dirigente medico che ricopriva un ruolo di coordinamento in una unità ospedaliera, al quale erano state addebitate una serie di gravi omissioni per la mancata adozione, in alcuni reparti, delle misure di sicurezza previste dalle linee guida aziendali nel periodo di emergenza Covid.
Il dirigente si era difeso affermando di non avere responsabilità in merito agli inadempimenti contestati, in quanto imputabili unicamente ai responsabili dei reparti interessati, asserendo che il proprio ruolo di coordinamento non fosse sufficiente a fondare una qualche responsabilità per le mancanze riscontrate.
Tale tesi difensiva era stata contestata dall’azienda dato che il ruolo apicale imponeva al dirigente di vigilare sui responsabili dei reparti e, comunque, di adottare tutte le misure organizzative necessarie per attuare le misure di sicurezza, anche in assenza di iniziativa dei responsabili dei reparti.
Con sentenza del 16 febbraio 2024, la Corte d’Appello ha sposato integralmente la tesi dell’Azienda, dando atto che la lettera di contestazione indicava puntualmente le varie omissioni e le misure organizzative che non erano state attivate dal dirigente, seppure fossero previste da specifiche direttive aziendali, e rilevando come il ruolo apicale imponesse al dirigente un preciso dovere di adoperarsi per la relativa attuazione.
Nella motivazione, la Corte ha stabilito un importante principio in materia di ripartizione dell’onere della prova. Dato che la mancata adozione delle suddette misure di sicurezza non era stata contestata dal dirigente ed era stata dimostrata dall’azienda, il Collegio milanese ha ritenuto che, a fronte della prova della sussistenza delle condotte omissive addebitate, competesse al dirigente dimostrare di avere adempiuto ai propri doveri e che le omissioni non fossero riconducibili a una qualche sua responsabilità.
Non avendo il dirigente fornito tale dimostrazione, la Corte ha ritenuto provati gli addebiti, giudicandoli gravi e idonei a giustificare il licenziamento. La decisione appare degna di nota in quanto affronta il delicato tema dell’onere probatorio nelle fattispecie omissive.
Come gli addetti ai lavori ben sanno, mentre è agevole individuare delle responsabilità disciplinari in condotte attive tenute dai lavoratori, diventa arduo far valere in via disciplinare una condotta omissiva, soprattutto nell’ambito di organizzazioni complesse nelle quali sono presenti diversi livelli di responsabilità. Ciò è tanto più vero nei casi in cui si riscontrano molteplici negligenze, la gravità di ciascuna delle quali non sia immediatamente percepibile, salvo assumere rilevanza se considerata unitamente alle altre. Solo da una valutazione unitaria della situazione, infatti, può evincersi la complessiva mancanza di controllo da parte del personale chiamato a coordinare l’unità, il reparto o la funzione aziendale.
In casi di tal fatta, i dirigenti apicali spesso si trincerano dietro lo scudo delle colpe dei responsabili di livello inferiore o dei singoli lavoratori del reparto per far venir meno o, comunque, attenuare, la propria responsabilità. In particolare, la difesa del lavoratore è solita richiamare a proprio sostegno la tesi secondo la quale la sanzione comminata sarebbe ingiustificata in quanto fondata su una sorta di responsabilità oggettiva, sostenendo che l’azienda avrebbe illegittimamente “scaricato” sul livello apicale le responsabilità dei dirigenti/responsabili di livello inferiore.
La sentenza qui in commento supera tali argomentazioni attraverso l’individuazione dei compiti propri dei dirigenti apicali, compiti che comportano l’adozione di misure organizzative e di coordinamento coerenti con il ruolo dirigenziale. In mancanza, si configura una responsabilità diretta del dirigente che, a seconda della gravità, può portare all’avvio di un procedimento disciplinare e al licenziamento. Diversamente, ne conseguirebbe una vera e propria deresponsabilizzazione dei dirigenti e finirebbero per restare privi di sanzione dei comportamenti certamente negligenti.
Proprio a tale proposito, la Corte rileva che “alla luce delle competenze manageriali, programmatorie ed organizzative finalizzate all’efficace funzionamento del presidio, pertanto, il direttore medico, anche in quanto gerarchicamente sovraordinato ai sanitari responsabili dei vari reparti, deve ritenersi responsabile delle omissioni riscontrate”, confermando la sentenza di rimo grado del Tribunale di Monza che aveva accertato la responsabilità del dirigente “in continuità con l’orientamento giurisprudenziale che, individuando nei dirigenti apicali i soggetti responsabili dell’andamento di una azienda o di un ente, pone in capo a medesimi dirigenti la responsabilità per le violazioni determinate dall’omesso esercizio delle loro prerogative di direzione e di controllo. In tali casi, non si configura una responsabilità oggettiva connessa al ruolo del manager, bensì la violazione di specifici obblighi connessi al rapporto di lavoro e relativi ai poteri e doveri in concreto affidati al lavoratore, con particolare riferimento al dovere di vigilanza.”
In conclusione, la decisione offre molteplici spunti utili per affrontare le difficoltà insite nei procedimenti disciplinari che hanno ad oggetto comportamenti omissivi e negligenti, soprattutto se attuati dal personale di livello dirigenziale.