La sentenza assolutoria in sede penale non è vincolante al fine di valutare la legittimità o meno di un licenziamento per giusta causa intimato nell’ambito di un rapporto di lavoro privato, Corte di Cassazione 29 novembre 2024, n. 30748

La sentenza assolutoria in sede penale non è vincolante al fine di valutare la legittimità o meno di un licenziamento per giusta causa intimato nell’ambito di un rapporto di lavoro privato, Corte di Cassazione 29 novembre 2024, n. 30748

A cura di Sara Lovecchio

La Suprema Corte, con sentenza del 29 novembre 2024, n. 30748, ha affrontato nuovamente il tema della vincolatività o meno del giudizio penale nella valutazione da parte del Giudice del Lavoro dei medesimi fatti posti a fondamento di un provvedimento espulsivo.

Recentemente, la giurisprudenza di legittimità aveva già statuito che “il giudice civile investito dell’impugnazione della sanzione disciplinare non è vincolato né alla valutazione degli elementi istruttori compiuta in sede penale né al dictum della sentenza di non luogo a procedere … perché tale decisione può essere revocata ai sensi dell’art. 434 c.p.c. e, dunque, non può essere equiparata alle pronunce irrevocabili di assoluzione ex art. 653 c.p.p.” (Cass. 20 luglio 2023, n. 21607; in termini, tra le tante, cfr. Cass. 6 marzo 2023, n. 6660).

Con la sentenza in commento, la Suprema Corte ha evidenziato, che solo nel pubblico impiego, la sentenza pronunciata ex art. 653 cod. proc. pen. – che accerta che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso – ha efficacia di giudicato anche nell’ambito dell’eventuale giudizio sul procedimento disciplinare.

Al contrario, nel rapporto di lavoro privato, l’accertamento contenuto nel giudicato di assoluzione del lavoratore non ha – in via generale – un’efficacia diretta nell’ambito del procedimento disciplinare.

La Suprema Corte richiama, a conferma di tale principio, una serie di precedenti in cui è stato statuito che “la sentenza penale di assoluzione in seguito a dibattimento non ha efficacia nel giudizio di impugnativa di una sanzione disciplinare irrogata nell’ambito di un rapporto di lavoro di diritto privato, nel caso in cui non ricorra, ai sensi dell’art. 654 c.p.p., il presupposto della costituzione del datore di lavoro quale parte civile nel processo penale”.

Il suddetto costante principio comporta che, anche laddove il licenziamento sia stato irrogato per i medesimi fatti oggetto del giudizio penale, il Giudice del Lavoro chiamato a valutare la legittimità o meno del provvedimento espulsivo ha il potere di ricostruire – autonomamente e con pienezza di cognizione – i fatti materiali alla base del procedimento disciplinare e di giungere ad una valutazione e qualificazione degli stessi del tutto indipendente da quella di cui al procedimento penale.

Quanto poi alla valutazione in merito alla gravità del comportamento tenuto dal dipendente, i giudici di legittimità hanno ribadito, anche nella pronuncia qui in commento, che si dovrà tener conto “dell’incidenza del fatto commesso sul particolare rapporto che lega le parti nel rapporto di lavoro, delle esigenze poste dall’organizzazione produttiva e delle finalità delle regole di disciplina postulate da detta organizzazione”; ciò, ancora una volta, “indipendentemente dal giudizio che del medesimo fatto dovesse darsi a fini penali”.

In conseguenza di quanto sopra, la Suprema Corte, nella decisione suindicata, ha cassato con rinvio la decisione della Corte d’Appello di Bologna che, a fronte della sentenza penale irrevocabile di assoluzione del lavoratore – fondata sull’insussistenza del fatto contestato – aveva ritenuto che la stessa “precludeva una diversa valutazione in sede disciplinare” e,  quindi, (in riforma del giudizio di primo grado), aveva accertato “l’illegittimità del licenziamento alla luce del giudicato nel parallelo procedimento penale”.

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