Sospensione del preavviso in caso di malattia: onere della prova in capo al dirigente (Cass. 19 gennaio 2023, n. 1581)

Sospensione del preavviso in caso di malattia: onere della prova in capo al dirigente (Cass. 19 gennaio 2023, n. 1581)

A cura di Francesco Torniamenti

È noto che lo stato di malattia del lavoratore sospende il decorso del periodo di preavviso che deve per legge essere accordato al dipendente licenziato per giustificato motivo oggettivo / soggettivo. Sicché, nel caso in cui il lavoratore, dopo la comunicazione del recesso, si assenti in malattia durante il periodo di preavviso, il licenziamento resterà “inefficace” sin tanto che il dipendente torni al lavoro oppure si assenti per un periodo superiore al limite del comporto (cfr., Cass. 3 aprile 2019, n.9268).
La suddetta ipotesi si verifica, particolarmente, nel rapporto di lavoro dirigenziale ove spesso capita che il dirigente, non appena gli venga prospettata anche solo la mera possibilità di essere licenziato, si assenta per malattia (spesso sindrome ansioso depressiva) così da sospendere il decorso del periodo di preavviso e mantenere il rapporto di lavoro per l’intera durata del comporto.
Proprio per evitare tale rischio il datore di lavoro avveduto – che intende procedere al licenziamento del dirigente per ragioni oggettive– al momento in cui comunica al lavoratore il recesso dal rapporto di lavoro lo esonera dal prestare il preavviso corrispondendogli contestualmente l’indennità sostitutiva. Ciò è certamente lecito in quanto, come noto, il preavviso ha natura “obbligatoria” e non reale (non è quindi obbligatorio che il lavoratore lavori durante il periodo di preavviso).
Tuttavia, nemmeno nel suddetto caso di licenziamento con esonero dal preavviso è evitato il rischio che il dirigente si assenti in malattia.
Infatti, nella fattispecie oggetto della sentenza in commento, il datore di lavoro aveva licenziato un dirigente corrispondendogli subito l’indennità sostitutiva del preavviso; sennonché il lavoratore, quattro mesi dopo, aveva documentato tramite certificazione medica, una sindrome depressiva sorta in epoca antecedente al licenziamento. Il dirigente aveva poi citato in giudizio il datore di lavoro sostenendo, in primo luogo, l’illegittimità del recesso per inesistenza del motivo oggettivo e, in subordine, l’inefficacia del licenziamento in quanto intervenuto in pendenza di malattia. In primo grado, il Tribunale di Bergamo aveva accolto la domanda principale del lavoratore. In sede di gravame la Corte d’Appello di Brescia aveva poi riformato la sentenza di prime cure ritenendo legittimo il licenziamento e respingendo anche la domanda di inefficacia del recesso poiché il lavoratore non aveva dimostrato che l’allegata sindrome depressiva era tale da comportare un’inabilità assoluta dal lavoro. In particolare, la Corte d’Appello aveva escluso tale circostanza sia in quanto la malattia era stata diagnosticata mesi dopo il licenziamento (ovvero in tempi “sospetti”) sia poiché il lavoratore non aveva provato di essersi sottoposto a terapie ed accertamenti medici tranne una blanda terapia farmacologica. La Corte di Cassazione, in ultima istanza, ha respinto la impugnazione del lavoratore così confermando che il lavoratore – che chiede l’accertamento dell’inefficacia del recesso perché irrogato durante la malattia – è tenuto a provare che l’asserita patologia sia di gravità tale da non consentire lo svolgimento del lavoro e che, per dimostrare tale circostanza, non è sufficiente il mero certificato medico essendo invece necessario dimostrare, quanto meno, l’esistenza di una terapia effettiva.
Infine, la Cassazione ha escluso che l’indennità sostitutiva del preavviso rientri nella base di computo del TFR in quanto non è riferibile ad un’attività lavorativa effettivamente prestata essendo, invece, attinente ad un periodo non lavorato.

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