A cura di Anna Maria Corna
Il recentissimo D.L. n. 48/2023, pubblicato il 4 maggio, ha, tra l’altro, introdotto delle modifiche sulla disciplina in tema di contratti a tempo determinato, per cui “non vi è quiete”, considerato che ad ogni cambio di Governo si interviene cercando di allargare o stingere le maglie sulla possibilità di assumere in questo modo.
Come ho più volte segnato, con il D. Leg. n. 81/2015 si era finalmente arrivati ad un corpo di norme chiaro, che prevedeva la possibilità di stipulare contratti a tempo determinato per 3 anni, senza indicazioni di causali (ma con un “tetto” massimo del 20% rispetto ai lavoratori in forza), da cui poteva conseguire un limitatissimo contenzioso e contemperava adeguatamente gli interessi dei lavoratori ad un’occupazione stabile, con le mutevoli esigenze di flessibilità aziendale, stante anche un rinvio alla contrattazione collettiva di settore (ai sensi dell’art. 51) per possibili deroghe. Il c.d. Decreto Dignità del 2018 (D.L. n. 87/2018, conv. in L. n. 96/2018) ha ridotto a 12 mesi la possibilità di assumere a tempo determinato senza specificare le ragioni, consentendo una proroga di ulteriori 12 mesi solo in presenza di fattispecie molto limitate e poco utilizzabili (“a) esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività, ovvero esigenze di sostituzione di altri lavoratori; b) esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria”).
Nell’ambito della legislazione connessa alla pandemia Covid 19 è stata aggiunta la possibilità di assumere anche in caso di “specifiche esigenze previste dai contratti collettivi di cui all’art. 51”, ma solo fino al 30 settembre 2022 (V. art. 19, comma 1.1., introdotto dal D.L. n. 73/2021, conv. in L. n. 106/2021).
Ora il Legislatore ha in parte abrogato tali ultime novelle e, ferma la durata massima senza causale di 12 mesi, ha previsto la possibilità di arrivare a 24 mesi: «a) nei casi previsti dai contratti collettivi di cui all’articolo 51; b) in assenza delle previsioni di cui alla lettera a), nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 30 aprile 2024, per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti; b-bis) in sostituzione di altri lavoratori.».
Disposizione che, ai sensi dell’art. 34 del medesimo D. Leg. n. 81/2015, si applica anche nel caso di somministrazione a tempo determinato, stante il rinvio alla disciplina del Titolo III (artt. 19 e segg., escluse solo le disposizioni dell’art. 21, comma 2 e art. 23 e 24).
Indubbiamente la norma apre delle possibilità, che però dovranno essere le parti sociali a regolare, individuando, in base alle specificità dei vari settori, i casi in cui è possibile arrivare a 24 mesi; casi che, a seguito delle molteplici novelle alle leggi in materia, a volte erano già stati previsti da alcuni CCNL (V. per es. nel Terziario la possibilità di assumere per la fase di avvio di nuove attività per 12 mesi, prorogabili fino a 24).
Tuttavia è opportuno che a livello Nazionale o territoriale le OO.SS.LL. di cui all’art. 51 del D. leg. 81/2015, e le loro rappresentanze a livello aziendale si attivino per identificare questi casi, considerato che il rinvio – seppur temporaneo – ad un accordo delle parti potrebbe creare non pochi problemi interpretativi in caso di contenzioso (onerando sempre l’azienda di dimostrare anche la sussistenza delle “esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva”).
La scelta di campo è già stata, comunque, significativa dando spazio alle parti sociali, che meglio conoscono il mercato del lavoro, e si può auspicare che favorisca le assunzioni per periodi di maggior durata, rispetto i soli 12 mesi acausali, perché – nella realtà – la durata del contratto favorisce la stabilizzazione del rapporto di lavoro, mentre sono i contratti brevi che lo rendono precario.