L’uso della videosorveglianza è legittimo, in quanto destinato alla sicurezza e alla protezione del patrimonio aziendale, nel caso in cui le telecamere siano installate nel piazzale esterno e non in locali interni riservati ai dipendenti; sono quindi utilizzabili le relative risultanze ai fini disciplinari (Corte Cass. 6 febbraio 2025 n. 3045)

L’uso della videosorveglianza è legittimo, in quanto destinato alla sicurezza e alla protezione del patrimonio aziendale, nel caso in cui le telecamere siano installate nel piazzale esterno e non in locali interni riservati ai dipendenti; sono quindi utilizzabili le relative risultanze ai fini disciplinari (Corte Cass. 6 febbraio 2025 n. 3045)

A cura di Orazio Marano

Con la recentissima sentenza in commento, la Suprema Corte, nel confermare la legittimità di un licenziamento disciplinare, ha escluso che vi sia stata violazione nell’installazione e nell’uso delle telecamere. La fattispecie sottoposta al vaglio dei giudici di legittimità riguardava il recesso per giusta causa da un rapporto di lavoro con un addetto al carico e scarico merci, licenziato per sottrazione di beni aziendali reiterata nel tempo, emersa a seguito dell’esame delle riprese effettuate dalle videocamere di sorveglianza poste nel piazzale esterno all’azienda, su segnalazione del responsabile di reparto che aveva riscontrato anomale difformità nei report di carico. Il licenziamento veniva dichiarato legittimo dai giudici di merito, in quanto ritenuto proporzionato alle condotte di cui il lavoratore si era reso autore e che erano state dimostrate in corso di giudizio dal datore di lavoro.

La Corte di Cassazione, dinanzi la quale il lavoratore aveva impugnato la pronunzia dei giudici d’appello ribadendo l’asserita illegittimità dell’utilizzo delle telecamere (motivata in ricorso con la violazione dell’art. 4 Statuto dei Lavoratori e con l’inutilizzabilità probatoria delle registrazioni), ha escluso la violazione nell’installazione e nell’uso delle telecamere, ritenendo che le stesse fossero dirette alla tutela del patrimonio aziendale e non al controllo delle prestazioni lavorative.

Nello specifico, i giudici di legittimità, dopo avere ribadito che l’utilizzo degli impianti di videosorveglianza è consentito dal summenzionato art. 4 qualora le riprese siano finalizzate a tutelare il patrimonio aziendale, hanno ritenuto corretta la motivazione della sentenza del Tribunale (confermata in appello), che aveva chiarito che le telecamere erano state installate nel piazzale esterno all’azienda, quindi in un’area ove transitavano soggetti esterni, per di più isolata e quindi maggiormente esposta ad intrusioni e non all’interno di locali di esclusivo utilizzo dei dipendenti. Pertanto, con l’impianto di videosorveglianza il datore di lavoro non controllava i propri dipendenti, la cui ripresa poteva avvenire laddove gli stessi si trovassero incidentalmente nel raggio d’azione delle telecamere mentre svolgevano parte della loro prestazione (in tal caso, le operazioni di carico e scarico delle merci). Il Tribunale aveva quindi correttamente applicato il principio espresso dalla CEDU – Grande Camera nel 2019 (sentenza del 17 ottobre 2019, ricorsi n. 1874/13 e 8567/13), secondo cui il livello di privacy è minore negli spazi di lavoro aperti al pubblico rispetto a quello che si esige in ambienti ove il transito di soggetti esterni non si verifica. Da qui la conclusione per cui lo strumento utilizzato è proporzionato alla necessità di tutela del patrimonio aziendale e, pertanto, non viola la sfera privata dei lavoratori.

Quanto sopra, conformemente all’orientamento consolidato della Corte di Cassazione che, nel motivare la differenza tra controlli difensivi in senso lato e in senso stretto, ha più volte affermato che i primi sono da qualificare come controlli preventivi generali dell’attività lavorativa (quindi soggetti alle restrizioni del summenzionato art. 4 Stat. Lav.), mentre i secondi vengono disposti a seguito di un fondato sospetto su specifici illeciti di un singolo lavoratore, tipologia – quest’ultima – non soggetta ai limiti dell’art. 4, primo e secondo comma, Stat. Lav. (cfr. Cass. n. 25732/2021) e a cui la Corte d’Appello ha ricondotto la vicenda in esame specificando che le videoregistrazioni erano state visionate solo dopo che il responsabile della logistica aveva rilevato un anomalo scostamento tra la merce effettivamente caricata e quella prevista.

Da ultimo, nel motivare la legittimità dell’utilizzo delle registrazioni in giudizio, la Suprema Corte ha rilevato che al lavoratore era nota la presenza delle telecamere (avendo egli stesso ammesso di essere a conoscenza del sistema di videosorveglianza), ragion per cui – ai sensi dell’art. 4, terzo comma, legge n. 300/70 – le risultanze erano utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro. Peraltro, sul punto, i giudici di legittimità hanno evidenziato che nel caso di specie non esiste un divieto di utilizzabilità probatoria analogo a quello previsto nel processo penale (cfr. Cass. n. 33809/2021), dovendosi procedere ad un bilanciamento tra privacy del lavoratore e tutela dell’impresa, che deve avvenire secondo i principi di correttezza, pertinenza e non eccedenza previsti dal D. Lgs. n. 196/2003 (e successive modificazioni), nel caso di specie rispettati.

Come possiamo aiutarti?

Consultaci per qualsiasi informazione