Passionarnost

Passionarnost

Da oltre un mese la guerra in Ucraina ha cambiato la prospettiva di ciascuno di noi. Dopo la pandemia, da cui ancora a fatica il mondo stava uscendo (o, almeno, così speriamo), il dilagare del conflitto e della violenza ben al di là delle zone di confine contese fin dal 2014 ha rigettato il mondo nello sconforto. Uno degli aspetti più complessi in questa terribile vicenda, che ci si augura possa interrompersi al più presto ma di cui al momento non si vede la fine, è certamente la questione della gestione della comunicazione e dell’informazione.

Proprio in queste ore è stato dato l’annuncio della sospensione delle pubblicazioni della Novaya Gazeta, una delle poche testate indipendenti – quella presso cui lavorava Anna Politkovskaja – che ancora risultavano attive dopo la promulgazione della severa legge che assegna fino a 15 anni di carcere a chi in Russia diffonda notizie “false” relativamente alla “operazione speciale” in Ucraina. Al momento sulle principali agenzie di stampa russe, come TASS e RIA, si parla di “operazione speciale” con la quale le forze russe starebbero portando avanti il loro obiettivo originario: quello di sottrarre alle formazioni neonaziste interne all’esercito ucraino il controllo del Donbass e delle aree a sud-est e quello di “denazificare” così la zona. Sui siti di tali agenzie non compaiono immagini di distruzione, le vittime vengono perlopiù imputate a comportamenti sconsiderati delle truppe ucraine, i profughi vengono menzionati solo nella misura di decine di migliaia e solo in riferimento a quanti abbandonano l’Ucraina per recarsi in Russia, “assistiti con beni di prima necessità” dai Russi stessi; infine, vengono spesso derisi i media occidentali, colpevoli di non cercare una verità indipendente riguardo alle cause della crisi e dunque vittime della retorica della Nato e dello stesso presidente Zelensky, additato come “showman” buono per i social piuttosto che come eroe nazionale.

D’altra parte, sul fronte occidentale, lo sconvolgimento è tale che anche la comunicazione è investita da potenti contrasti e si gioca su discorsi e interventi spesso drammatici: dai diversi discorsi tenuti da Zelensky presso le assemblee dei principali Stati occidentali (da Londra agli USA, da Israele alla Germania all’Italia) alle ritrattazioni riguardo alle cause del conflitto che dal 2014 riguarda il conteso Donbass, fino alle potenti e controverse parole di Papa Francesco: “Io mi sono vergognato quando ho letto che un gruppo di Stati si sono compromessi a spendere il 2 % del Pil per l’acquisto di armi come risposta a questo che sta accadendo: pazzi!”.

In tutto questo, un termine, in particolare, è stato evocato da più parti come chiave di lettura della situazione in Ucraina, tratto dal discorso con cui Putin si insediò al Cremlino per il suo terzo mandato presidenziale nel dicembre 2012: ‘passionarnost’. Questo vocabolo è ricavato dall’opera storica ed etnoantropologica di Lev Gumilëv, ritenuto uno dei principali teorici dell’eurasismo, movimento che ha sviluppato una concezione della Russia come sistema storico, culturale e geopolitico basato su propri specifici principi, distinto sia dall’Europa sia dall’Asia. Per Gumilëv, ‘passionarnost’ è uno dei fattori caratterizzanti un “ethnos dinamico”, che Putin propone e interpreta secondo la propria prospettiva: “Chi assumerà la guida e chi rimarrà ai margini, perdendo inevitabilmente la propria indipendenza, dipenderà non tanto dal potenziale economico ma dalla volontà di ogni nazione, dalla sua energia interna, quella che Lev Gumilëv chiamava passionarnost, la capacità di avanzare e accettare il cambiamento” (qui l’articolo di Paolo Valentino sul Corriere del 22/2/2022). Tuttavia, andrà ricordato che la parola russa deriva dal termine latino ‘passio’, che definisce genericamente una ‘perturbazione dell’animo’, ma che poi si è particolarmente sviluppato e caricato di significato nelle sue occorrenze tardoantiche e cristiane, legate alla sofferenza dei martiri e alla crocifissione di Cristo all’interno del bacino culturale europeo. Se dunque forse il termine passionarnost, nella formulazione di Gumilëv poteva anche etimologicamente rimandare, all’interno di una teoria etnostorica, a un significato legato a un generico concetto di dinamismo e vitalismo, la Storia sta ora tragicamente assegnando a tale parola, evocata da Putin nella situazione attuale del conflitto in Ucraina, una sfumatura che si avvicina di molto alla seconda accezione, a quella, cioè, del martirio.

Forse una maggiore considerazione della cultura, della storia e delle parole che uniscono i popoli, piuttosto che di quelle che li dividono, e un uso “de-retorizzato” della comunicazione sarebbero un buon primo passo verso la pace.