
A cura della Redazione Biblioteca
“Domina la materia, le parole arriveranno”, questa la celebre esortazione che più di duemila anni fa esprimeva Catone il Censore, personaggio divenuto esemplare per la sua statura e la sua integrità morale. Difensore della tradizione “italica” contro le novità che giungevano dall’oriente e dai territori conquistati da Roma, in uno dei momenti più propulsivi della sua espansione, nel II sec. a.C., Catone fu il padre dell’oratoria romana, anche se i suoi discorsi sono per larga parte perduti. Questo motto è conservato in un breve frammento, ma è significativo di una filosofia di vita e di come si voleva che questa venisse applicata alla gestione della cosa pubblica.
Non basta cioè informarsi velocemente su manualetti correnti – così venivano visti gli “handbooks” di importazione greca e molto di moda in quegli anni di conquiste, usati a Roma da chi voleva apprendere velocemente i rudimenti dell’oratoria, nella quale i retori ellenici erano maestri: per avere successo in politica, udite udite, è necessario studiare. E studiare tanto, perché per governare lo Stato bisogna dominare appunto la res (“ciò di cui si sta parlando”), bisogna possedere i contenuti di tutto quanto può essere necessario a un leader. Cicerone, grande lettore dei discorsi di Catone e suo dichiarato imitatore, chiarisce un secolo dopo in che cosa consista questa competenza e lamenta che nessun avvocato del foro – scil. nessun aspirante leader – dei tempi a lui recenti o passati possiede tale preparazione:
“Non vi era nessuno che apparisse essersi dedicato più a fondo della gran massa degli uomini allo studio delle lettere, le quali rappresentano la fonte di un’eloquenza pienamente matura; nessuno la cui formazione abbracciasse la filosofia, madre di tutte le belle azioni e le belle parole; nessuno che avesse appreso il diritto civile, materia quanto mai necessaria per le cause private e per la competenza dell’oratore; nessuno che fosse padrone della storia romana, con la quale al bisogno evocare dagli inferi autorevolissimi testimoni; nessuno che, messo alle strette dall’avversario, con un’argomentazione breve e fine, ricreasse l’animo dei giudici, e dalla severità li facesse passare per un poco all’ilarità e al riso; nessuno che fosse capace di ampliare il discorso, e di tramutarlo – da una trattazione propria e definita, limitata a una persona e a una circostanza – in una questione comune di ordine generale; nessuno che, per divertire gli ascoltatori, sapesse fare delle digressioni, allontanandosi per un po’ dalla causa; nessuno che fosse in grado di indurre con vigore i giudici all’ira, o al pianto; nessuno – e questa è, da sola, la caratteristica di un vero oratore – che sapesse spingerne gli animi in qualunque direzione le cose richiedessero”. (Cicerone, Brutus 322)
https://www.ilsole24ore.com/art/la-nascita-giustizia-come-pratica-politica-AEEHRl9C
Ha fatto molto discutere in questo senso il lancio della chat di OpenAi, che si può tranquillamente scarica sul proprio pc: è possibile chiedere all’intelligenza artificiale qualsiasi tipo di informazione o di prestazione (con una limitazione, a dire il vero piuttosto blanda, relativa a dati sensibili come persone o eventi “delicati”). Così, le si può chiedere di scrivere un saggio sulla crisi internazionale in corso, sui rapporti USA-Cina, sull’economia italiana. Oppure, le si può chiedere un consiglio medico, la soluzione di un problema informatico (con conseguente scrittura di codice ad hoc); le si può chiedere anche un consulto giuridico o di rispondere alle domande di un esame universitario. Come sottolineava Federico Rampini in un recente articolo sul Corriere, “in America soffia un vento di panico per le performance strepitose di ChatGPT, l’intelligenza artificiale che alla velocità della luce scrive articoli, saggi, su ordinazione, su qualsiasi tema, con una qualità elevata e spesso superiore a quella di noi umani. Ora quel vento di panico lo sento anch’io. Ho simulato una sorta di gara con ChatGPT, e sono sotto choc. Ho il vago sospetto di aver perso io”. Sì, perché, se anche, per ora, il lavoro di una macchina non fosse qualitativamente all’altezza di quello di un uomo – almeno, quando ci si muove nel dominio del pensiero “fine” -, sul fattore tempo non c’è partita: la macchina vince sempre. E, si sa, la nostra società richiede oggi di essere veloci, a volte abdicando anche alla qualità dei prodotti.
Moltissime, certamente, le opportunità offerte da una tecnologia avanzatissima, che si sta sviluppando in modo impressionante e che fa impallidire quello che per noi, finora, era il luogo di tutte le risposte, vale a dire Google, o quello di tutte le discussioni, vale a dire i social network. Tuttavia, come sempre, laddove c’è uno strumento potente, i rischi crescono esponenzialmente. In tutti i comparti se ne discute, da quello del business a quello della sanità, da quello giuridico a quello sociale, da quello militare a quello politico: il sistema OpeanAI è sviluppato da un gruppo ristretto e molto riconoscibile di esseri umani, perlopiù maschi, bianchi, appartenenti a una classe sociale medio-alta, localizzata solo in certi Paesi del mondo, finanziata da un certo gruppo sociale. Ci sono dunque pericoli relativi alla privacy, all’uso delle informazioni, a come il mondo ne viene plasmato.
Per chi si occupa di diritto, si spalanca una sfida enorme e la discussione è solo all’inizio.