A cura di Teresa Cofano
La Società ALFA recede per giusta causa dal contratto di agenzia con Tizio subito dopo aver appreso di una frode commessa da quest’ultimo ai danni della clientela.
Il Tribunale dichiara la sussistenza della giusta e condanna Tizio al pagamento, in favore della preponente, di somme a vario titolo derivanti dalla cessazione del rapporto, liquidando, in favore di Alfa, una somma a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale per lesione all’immagine aziendale.
Impugnata la sentenza, la Corte d’appello, pur confermando la sussistenza della gravità del fatto e la sua idoneità a integrare una giusta causa di recesso, anche per la natura penale dei fatti commessi, respinge la domanda risarcitoria, sostenendo che la lesione del diritto alla identità della persona giuridica, pur potendo essere desunta da elementi presentivi, richiederebbe un principio di prova, in particolare in ordine alla effettuazione di spese per il ripristino del bene immateriale leso, o la dimostrazione dei costi sopportati per la reintegrazione della reputazione commerciale lesa.
Alfa chiede, quindi, la cassazione della sentenza d’appello in parte qua, deducendo la violazione e falsa applicazione del disposto degli artt. 2059 e 1226 c.c., in relazione al disposto dell’art. 360 n. 3 c.p.c.
La decisione.
La Corte di legittimità, in accoglimento del motivo di ricorso di Alfa, ha cassato con rinvio la sentenza in relazione al motivo proposto da Alfa, affermando che non è corretto ricondurre il danno all’immagine della persona giuridica ad una valutazione economica e di mercato, ovvero ai costi di reintegrazione o alle spese sostenute per il ripristino del bene immateriale, che rilevano ai fini dell’individuazione dei danni di natura patrimoniale.
Premesso che ogni soggetto (persona fisica, giuridica o associazione non riconosciuta) ha diritto di rivendicare il risarcimento del danno derivante dalla lesione di diritti immateriali della personalità costituzionalmente protetti, tra i quali quello all’immagine, il pregiudizio arrecato a tali diritto, non costituendo un mero danno-evento, e cioè in re ipsa, deve essere oggetto di allegazione e prova anche mediante presunzioni semplici (sulla base della gravità dei fatti, della diffusività degli stessi, della riconducibilità della condotta alla preponente e della idoneità della stessa a produrre un danno nei suoi confronti sulla base dell’ id quod plerumque accidit) e deve essere concretamente determinato attraverso un esercizio controllato dell’equità. In particolare il Giudice, a tal fine, deve dapprima individuare un parametro di natura quantitativa in termini monetari, direttamente o indirettamente collegato alla natura degli interessi incisi dal fatto dannoso e, poi, adeguare tale parametro monetario attraverso il riferimento ad uno o più fattori oggettivi, controllabili e ragionevolmente congrui.