A cura di Andrea Beretta
La Corte d’appello di Roma accoglieva il reclamo proposto da un lavoratore licenziato per superamento del periodo di comporto, contro la sentenza del Tribunale di Civitavecchia, che aveva respinto la sua opposizione all’ordinanza del medesimo Tribunale che, nella fase sommaria del procedimento in prime cure, pure aveva rigettato l’impugnativa.
La Corte, in particolare, in riforma dell’impugnata sentenza, dichiarava illegittimo tale licenziamento e, per quanto qui rileva, giudicava fondato il motivo di reclamo, con il quale la società aveva censurato la sentenza di primo grado, per avere il Tribunale ritenuto che il datore non avesse alcun obbligo di preavvertire il lavoratore dell’imminente superamento del periodo di comporto, pur avendo ingenerato nel medesimo un incolpevole affidamento, indicando nei prospetti presenze allegati alle buste paga un numero di assenze per malattia di gran lunga inferiore a quelle, poi, conteggiate nella lettera di licenziamento. Secondo il Giudice del reclamo, infatti, sulla base dei menzionati prospetti presenze allegati alle buste paga, il dipendente era stato ragionevolmente indotto a ritenere di avere accumulato un numero di giorni di assenza per malattia decisamente inferiori al reale. E se era certamente vero che il lavoratore avrebbe sempre potuto verificare autonomamente il numero effettivo di assenze per malattia, eventualmente accedendo al portale web dell’Inps, era tuttavia anche vero che il comportamento posto in essere dal datore, il quale aveva fornito indicazioni fuorvianti, non poteva essere considerato conforme a buona fede e correttezza.
Avverso tale decisione, la Società datrice di lavoro proponeva ricorso per cassazione, censurando, tra gli altri, la statuizione di cui sopra.
La Suprema Corte dichiarava inammissibile l’impugnativa e, per quanto qui interessa, giudicava corretta la decisione della Corte distrettuale laddove aveva ritenuto, in linea generale, pienamente condivisibile l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale laddove, come nel caso di specie, la contrattazione collettiva non contenesse un’espressa previsione in tal senso, il datore di lavoro non avesse alcun obbligo di preavvertire il lavoratore dell’imminente superamento del periodo di comporto; ma che, nel caso di specie, un tale adempimento fosse, invece, necessario per correggere le indicazioni erronee e fuorvianti che lo stesso datore di lavoro aveva fornito al lavoratore nei prospetti presenze allegati alle buste paga e, quindi, per eliminare quel ragionevole affidamento ingenerato nel lavoratore dal precedente comportamento datoriale.