A cura di Michela Casula
Con la sentenza n. 13870 del 19 maggio 2023, la Suprema Corte torna ad affrontare il tema della incidenza del mancato versamento dell’imposta di registro sulla validità negoziale del contratto di locazione, alla luce di quanto prescritto dall’art. 1, comma 346 della L. n. 311/2004.
Ai sensi di tale norma, “i contratti di locazione, o che comunque costituiscono diritti relativi di godimento, di unità immobiliari ovvero di loro porzioni, comunque stipulati, sono nulli se, ricorrendone i presupposti, non sono registrati”.
Nel caso di specie, il contratto di locazione di bene immobile ad uso abitativo, registrato ab origine e successivamente prorogato per mancata disdetta, non aveva costituito oggetto di successiva registrazione in relazione agli anni per i quali il locatore contestava al conduttore la morosità.
Pertanto, secondo la ricostruzione effettuata dal conduttore ricorrente, tale contratto sarebbe stato nullo in parte qua e, in quanto tale, inidoneo a fondare una richiesta di pagamento di canoni.
La Corte di Cassazione ha ritenuto che nella vicenda in esame ricorresse un’ipotesi non già di mancata registrazione, ma di mancato versamento di alcune annualità successive di imposta. Si tratterebbe, quindi, di un incombente che, non soltanto è diverso dalla registrazione del contratto, ma che, anzi, proprio nella regolare effettuazione della registrazione iniziale del contratto troverebbe il proprio fondamento e presupposto esecutivo.
Anche sulla scorta di quanto già statuito con la propria decisione n. 20938 del 16 ottobre 2015, la Corte ha affermato che la norma di cui all’art. 1, comma 346 della L.n. 211/2004 deve essere riferita alla registrazione originaria, ovvero a registrazioni successive di accordi modificativi del canone che devono essere novativi.
Viceversa, nel caso de quo non è stata dedotta alcuna violazione del principio basilare di invariabilità del canone, tale da far ritenere sussistente un eventuale patto di aumento del canone. Né, peraltro, è stato dedotto che la parte locatrice avesse fittiziamente comunicato all’amministrazione finanziaria la cessazione del rapporto in data anteriore a quella reale, così da impedire od ostacolare l’azione di verifica del dovuto da parte dell’amministrazione stessa.
Alla luce di quanto sopra, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso dichiarandolo inammissibile, con enunciazione del seguente principio di diritto:
“Il mancato versamento di alcune annualità della imposta di registro, successive a quella iniziale, è sì sanzionato dalla normativa fiscale, ma non rileva agli effetti della validità negoziale del contratto cui si riferisce la previsione di nullità di cui alla norma della l. n. 311 del 2004, art. 1, comma 346, atteso che essa si riferisce alla registrazione originaria del contratto”.